Ascolto Manuel Mota, chitarrista lusitano per me uno degli strumentisti più strabilianti che abbia avuto l’opportunità di ascoltare dal vivo e conoscere, da 25 anni. Cosa potrei ancora dire a suo riguardo per la sua ultima pubblicazione, laconicamente titolata 1-7, come i numeri a segnare a segnare questa nuova mezz’ora abbondante di suono?
Forse converrebbe iniziare dalla grafica di copertina, un’immagine terra e spettrale, nella quale si percepisce una presenza extra umana. Nell’ultimo disco condiviso con Margarida Garcia si parlava addirittura di alieni nelle note stampa di Byron Coley mentre qui è il suono straziante delle corde a sfibrare il tempo in un carosello d’altri tempi, quasi un ritrovamento sotto carcasse e polveri, anche se alcuni toni sinistri sembrano realmente presenze ectoplasmiche che però paiono ammaestrate e sedate in bucolici spazi (2). Musica che viaggia negli spazi più reconditi del nostro intimo, pulendo le tossine come in un rituale, utilizzando le altre strutture interne come camere d’eco. Nelle prime recensioni a lui dedicate su queste stesse pagine Federico Tixi chiosava: “…Non per tutti, certo, molti ascoltatori distratti potrebbero confondere gli stupendi suoni che escono dalle casse con dei suoni a caso suonati su una chitarra qualsiasi, ma c’è una mente dietro il tutto, a donare un che di poesia al tutto.” Non credo di dover aggiungere altro, se non che la poetica di questo musicista avanza da un quarto di secolo, non accenna a fermarsi e ci riempie alveoli ed anima. Il consiglio è quello di abbassare le difese, infilare le cuffie e lasciare che il nostro corpo si muova quando e se ispirato da queste parvenze musicali. Sarà un riconnettersi con un tessuto antico, un abbozzo di equilibrio fra corpo e mente, scosso dalle frizioni di 8, per andare a concludere con una personale visione Noise in una 9 che ci scuote e ci aizza, congedandoci nel migliore dei modi dagli ascolti di questo 2024.
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Manuel Mota – 1-7 (Headlights, 2024)
