Luca Sigurtà/Panicsville – Split (Fratto9 Under The Sky, 2013)

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Nella dilagante moda dei dischi one side (che a me continua a sembrare uno spreco di materiale), la Fratto 9 porta il discorso ancora un po’ più in là, stampando uno split in cui i due musicisti si dividono un lato, mentre l’altro è occupato da una serigrafia, piuttosto inquietate, di Sanair.
Parte Luca Sigurtà con un brano che fissa su vinile l’interesse per le ritmiche che avevamo potuto apprezzare nelle sue ultime esibizioni. Ora, non dubito che allo stato attuale dell’arte del vulcanico musicista piemontese questa tendenza sia già stata abbandonata per esplorare nuovi e più intriganti lidi, nondimeno è un piacere poterne serbare testimonianza. Hookers sfoggia un inizio pacifico, presto deturpato da ritmi regolari e sporco, che sembrano sempre lì lì per sgranarsi e fondersi col drone di sottofondo. L’atmosfera è ai limiti dell’industrial, ma il gioco si fa più complesso quando, dopo un improvviso attimo di silenzio, irrompono melodie ambient che si insinuano fra i battiti e il rumore e sorprendentemente finiscono per prevalere, regalandoci un finale elegiaco che riporta a certe atmosfere di Bliss. Ottimo esempio di scrittura e dosaggio delle atmosfere, Hookers è a mio parere uno dei brani migliori scritti da Sigurtà. Di seguito tocca al veterano Panicsville, alle prese con una brano ispirato al film Paura Nella Città Dei Morti Viventi e opportunamente dedicato a Lucio Fulci. L’urlo di terrore con cui si apre il pezzo è adatto viatico a una lunga suite a base di organo, batteria, campionamenti ed elettronica analogica, in equilibrio fra rumore industrial, kraut e colonne sonore alla John Carpenter. Rispetto all’evocativa prova di Sigurtà questa è musica più descrittiva e fondamentali sono i campionamenti (passi, porte che scricchiolano, lamenti, ringhi bestiali) che poco lasciano all’immaginazione, fornendo un perfetto surrogato delle immagini. Per tutti gli undici minuti di durata le atmosfere cambiano continuamente: sottile tensione orchestrata con strumenti sintetici e batteria, campionamenti che descrivono la città deserta, cupezze doom/industrial, organi molto ’70 che si combinano con fredde batterie anni ’80. A discapito delle atmosfere inevitabilmente cupe è questo un esperimento divertente e riuscito: l’intero film ridotto a cortometraggio audio.