Quest’estate si è iniziato a parlare di Double Negative, disco che porta i Low verso sonorità più elettroniche: l’uscita è stata anticipata da un discreto battage, in molti hanno dichiarato in fretta il disco dell’anno e qualche fan deluso ha borbottato nei commenti dei social… un elenco di cose al contorno che non mi ispirava né l’ascolto né la riflessione sul tema: ma si dà il caso che i Low siano uno di quei gruppi che volere o no puntellano la mia vita con la loro musica e proprio in quest’anno non potevo trascurare questo piccolo grande evento. Cambiare invecchiando e restare sé stessi non è facile (e… non vale solo per le band): i Low sono uno degli ultimi mostri sacri dei novanta che sia davvero in attività senza essere una pietosa cover band di sé stessi (altri nomi? Yo La Tengo… e poi?) e a questo giro hanno sfornato davvero un bel disco, basandolo su due elementi: il primo, di cui si parla meno, è il fatto di avere messo giù un buon numero di belle canzoni e nei loro dischi non accadeva da parecchio (non solo due, tre pezzi come facevano ultimamente) e il secondo punto, che è stato interpretato in vario modo, è l’avere scelto di pubblicare direttamente un disco di remix, una rielaborazione elettronica dei loro brani senza dare in pasto al pubblico la versione “rock” degli stessi. Ho atteso la data del concerto a Milano (che ho mancato sempre per i casi della vita) prima di esprimermi e il fatto che dal vivo i pezzi siano praticamente stati suonati nel loro stile “classico” mi dà conferma di quanto sopra: BJ Burton e la band hanno rimescolato in modo magistrale in fase di produzione quello che probabilmente era già un buon disco in partenza. Il suono ha un ruolo fondamentale in Double Negative ed è l’elemento che fa da collante nell’unico magma che compone il disco, la malinconia crepuscolare che sgorga da ogni frequenza slabbrata e riverberata accompagna il mio autunno in modo magistrale e porta a pensare che il concetto dello slowcore 90s rivisto in chiave elettronica al confine con l’industrial non sia altro che il punto di vista di qualcuno che arriva dagli anni novanta e dà la sua visione del futuro: esattamente come la superba colonna sonora di Blade Runner 2049 (nessun brano, solo sound design e rielaborazioni del tema classico) accompagnava un film che ha incarnato in modo esemplare una narrazione di quello che ci aspetta, ma visto con gli occhi del passato. C’è il rosa in copertina, ma c’è anche il nero… cupo, crepuscolare e liricissimo Double Negative è un vero ascolto catartico: tra bassi che pulsano come cuori rappezzati, strumenti a corda talvolta trasformati in fruscii e voci qua e là filtrate forse tra le nuvole nere si intravede all’orizzonte un po’ di rosa… quello del tramonto?