Louis Jucker et la Nouvel Ensemble Contemporain – Suitcase Suite (Hummus, 2023)

Louis Jucker, musicista, produttore (è co-fondatore di Hummus Records, etichetta che negli ultimi anni sta sfornando dischi stupendi da La Chaux-de-Fonds, cittadina della Svizzera francese. Su mandato del NEC, nouvel ensemble contemporain nel 2019 riceve l’occasione di lavorare su una commissione di scrittura di un’opera, che accetta a determinate condizioni: avere la possibilità di costruire tutti gli strumenti partendo da vecchie valigie, essere presente in scena per cantare le canzoni insieme all’orchestra, poter registrare un disco (o più) su queste basi d’azione, continuare questo progetto al di fuori dei quadri della commissione ricevuta.
Dopo quattro anni nasce così Suitcase Suite, album che dimostra l’amore del nostro per le valigie di seconda mano, per i brocante, per l’arrangiare emozioni ed incontri intorno ad un grumo di note. Sette tracce, nelle quali si viaggia fra strani percorsi, nei quali sembra ad un tratto di vederlo muovere per la regione del Giura come se passeggiasse all’alba sulla Bowery di New York, in una First Count che apre il disco come meglio non potrebbe. Louis e l’ensemble viaggiano tra climi soporiferi ed agrodolci, nei quali è difficile riconoscere gli stati di veglia e di sonno: la voce è sognante ed intensa, la musica cruda ma levigata, con un’orchestra che a tratti accompagna, a tratti stride, a tratti impazzisce colorando il substrato sul quale si esprime il cantautore. A tratti, come in my Winsy Hearth, Louis sembra rimanere da solo a cantare alla luna, sotto di lui giusto un sibilo che cresce pian piano fino a rinforzarne l’ululato, in quelle che sembrano spesso vere e proprie scene teatrali, immaginando un faro sulla testa del nostro, rivolto verso una platea al buio. La musica sembra risuonare da uno spazio e l’atmosfera ricorda spesso quella di un alieno, ritrovatosi sul nostro mondo, con un suono ed una poetica del tutto personale (con tutti i riferimenti del caso David Bowie appare in qualche angolo, anche se più del suo stile è una sensibilità ed una luminosità simile a risaltare). Asylee si prende tutto il suo tempo per lasciarci con un pugno di mosche: è quasi inutile cercare significati, immagini, parole. Quella che l’ensemble e Louis riescono a portarci è solo bellezza, di quella che ci fanno stare meglio se fruita prima dell’alba, che ci ricarica e ci inebria. Piccole cose che non riusciamo a misurare ma nelle quali possiamo bearci. L’ultimo brano, March of the Fallen Scions, parte come in un canto da osteria che si fa sempre più epico, Louis accompagnato da una voce femminile, prime che entrino sibili e scrocchi, uno xilofono, trasformando il tutto in un vero e proprio carillon spaziale. Ad uscirne è un disco fantastico, pieno di vita, di colore e di fantasia come il più avvincenti dei fumetti, che riesce letteralmente a liberare il mondo che abbiamo dentro alla testa.