Lili Refrain – 23/09/10 Locanda di Campagna (Lonato – BS)

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Ancora una serata in Locanda (e stasera neppure piove!), ma vista la qualità e l'originalità delle proposte non posso davvero esimermi. Stavolta tocca a Lili Refrain da Roma, un album uscito di recente su Trips Und Traume/Three Legged Cat e concerti un po' in tutta la penisola, in contesti vari; non poteva quindi mancare nel posto che, in quanto a contesto, fa sicuramente categoria a sé. La musicista, tenuta all black e boa di piume attorcigliato all'asta del microfono, è tutto sommato meno scura e più comunicativa di quanto le immagini che girano in rete lascino intendere: bene così, un po' di calore si sposa bene ai colori del portico e la musica sottilmente malinconica sarà certamente intonata al primo giorno d'autunno.
Poche volte il palco è stato arredato in modo così minimale: gli strumenti in gioco sono una Telecaster, una loop station, la voce (poca) e dei cartelli (qualcuno, con frasi…problematiche, segni di punteggiatura e insetti!); tutto qui e davvero, a conti fatti, non si sentirà la necessità di altro. Una volta che Lili ha sistemato alcuni particolari tecnici, imbracciato la chitarra e illustrato la teoria dello Shippinghead (che non vi anticipo per non guastarvi la sorpresa quando avrete occasione di vederla dal vivo) si parte, immergendosi nel suono. Anche la musica questa sera riserva delle sorprese, o quanto meno delle sensibili differenze rispetto alle incisioni, un po' per necessità (l'assenza di un ampli adatto a supportare l'abituale strumentazione), un po', immagino, per scelta di assecondare il clima rilassato, quasi agreste del posto: c'è un minore influsso metal, meno toni stridenti, tutto sommato anche meno volume, sebbene i pezzi conservino la loro dinamica. lili_refrain_locanda Resta comunque musica densa ed energica, sempre suonata, lontana dai bordoni oggi tanto di moda e dalle noiosissime distese di delay che vagano per conto proprio e che ancora troppe volte ci capita di sentire; le stesse movenze di Lili, spesso piegata sullo strumento, testimoniano la visceralità di una psichedelia che trascina con vigore, più che cullare. Come capita in questi casi la canzone prende forma davanti a noi: un primo fraseggio viene cristallizzato in un loop e così è per il secondo fino a che sulla struttura, comunque mai eccessiva, si appoggia la chitarra live e la voce, a volte anch'essa "looppata" e che assume spesso il tono della lamentazione. Succede, quando la musicista è china a regolare gli effetti o concentrata per catturare il loop giusto, di cogliere riferimenti a musiche tradizionali, folk o rock, ma subito li si perde nel rimontaggio a strati che caratterizza le composizioni, salvo poi sentirli riemergere in forma di citazioni, come nel caso del tema de Il Padrino nel pezzo di chiusura (che nostalgia, quando ero un giovane rockettaro queste cose le faceva Slash…). Per farvi un'idea potete pensare a qualcosa fra Alexander Tucker e Harvestman, più rock del primo e meno…"core" del secondo ma che di entrambi coglie quel senso di musica ancestrale, verrebbe da dire quasi rituale. E come in ogni rituale che si rispetti il finale è catartico, coi volumi che si alzano e la chitarra, suonata in ginocchio, che stride, tributo al rock che tutto sommato, almeno dal punto di vista della forma, è stato tenuto lontano tutta sera: non ne abbiamo sentito la mancanza.
Per dovere di cronaca dirò che dopo Lili Refrain suonava Vittorio Cane, ma ammetto di averlo ascoltato solo con mezzo orecchio. Diverse buone canzoni, di cui almeno un paio che ti si attacca addosso dopo il primo ritornello, ma non so dirvi molto di più. Lo so, sono poco professionale, per fare ammenda andrò a sorbirmi un gruppo di emo 98 revival e scriverò una recensione di 4000 battute.