Sei anni dopo Arto, vera e propria scheggia poche mi aveva aperto un universo ritorna Nicola Setti, in arte semplicemente Setti, con un disco, l’ennesimo di una carriera costellata di album ufficiali e carbonari, in grado di dipingere la realtà e la fantasia intorno a lui con immagini vivide. Approfitto della scusa di un’intervista per conoscerlo più approfonditamente dandovi in pasto queste chiacchiere.
Ciao Nicola ! Innanzitutto grazie mille per la disponibilità ll’intervista, ci tenevo! Non è che aspettassi il tuo disco nuovo ma era passato un po’ di tempo da Arto e così sono stato molto contento di vederlo annunciato.
Sì, in mezzo avevo fatto un altro EP, Artico, che era uscito nel 2020, con il quale però eravamo riusciti a fare solo due concerti perché poi è scoppiata la pandemia ed essendo uscito a febbraio è stato difficile…
Capisco benissimo! Guardando su discogs le tue pubblicazioni però sembra che tu abbia fatto un sacco di roba però. Perché la scelta di seminare cosi tanti EP?
SÌ allora, il primo disco ufficiale è uscito con la Barberia nel 2012 su cassetta, presto esaurita e poi CD nel 2013. In realtà prima, ed anche dopo, ho sempre fatto uscire, parallelamente alla discografia ufficiale, dei dischi incisi in studio sostanzialmente, cassette di home recordings che vendevo solo ai live, oppure cose che mettevo in free download per un po’ e poi sparivano. Diciamo che ero un po’ ispirato da alcune band americane o inglesi che mi piacevano molto e che seguivano questa politica del doppio binario. Uno per il fascino e l’estetica delle registrazioni casalinghe e l’altra quella un po’ più da studio, con una certa post-produzione…
Musicalmente e culturalmente da dove arrivi Nicola? Anche ascoltando il disco nuovo non mi è per nulla facile capire quale sia la tua discendenza…non sei un cantuatore, non sei folk, non sei pop. Non riesco a capire cosa tu faccia, ed è una cosa bella però…
Beh, grazie, grazie, grazie! Direi che è positivo come punto di vista, in un’intervista per Rai Tre una volta (ero andato a suonare al Covo di Bologna e ci finii per questo) nel periodo it-pop. Io avevo iniziato nel 2007, quando l’italiano non era molto in vigore e la loro domanda fu “Tu come ti collochi nei confronti dell’it-pop?” ed io gli ho risposto, te lo dico perché mi era venuto spontaneo e lo penso ancora “Non mi colloco, mi collocano gli altri”. Mi fa piacere che ci sia gente che voglia ascoltarmi ma, come accennavo prima, ci sono una serie di artisti coi quali son cresciuto, tipo Beck, che aveva un suo stile riconoscibile ed un suo modo ma ogni disco era a sé. Funky, folk, orchestrale…l’idea era proprio quello di assecondare le canzoni e dove mi portassero ed essendo un progeto solista mi permette anche di non aver compromessi. In una band hai un’identità, dev mediare i gusti degli altri, da solo decidi tu e questo disco l’ho proprio suonato da solo e fatto da solo, una via di mezzo quindi fra gli home recordings e lo studio, suonando tutti gli strumenti con mezzi di fortuna, andando poi in studio per mix e master. Non ho risuonato nulla in studio, tenendo solo quanto registrato in quei quattro giorni di residenza artistica in questo paesino medievale.
Un unione dei tuoi due mondi quindi, anche se all’ascolto fila benissimo e ti si percepisce come pop, nel senso che sei orecchiabile. Però non è la canzoncina pop, a tratti lo sento più vicino ad una forma scritta che ad una canzone, ho trovato più collegamenti con alcune cose di letterature a cinema rispetto ad altra musica. Poi probabilmente la cosa è campata in aria ma i primi collegamenti che mi sono venuti sono stati esterni alla musica. Partiamo però dall’inizio, quanti anni hai e dove inizi a suonare?
Classe 1985, quindi 39 anni. Ho avuto varie band adolescenziali su Modena e l’ultima che ho avuto si chiamava gli Attivisti, una cosa un po’ dadaisti, con delle canzoni che vertevano al territorio ed a Modena, che veniva da ispirazioni come Lomas (già Paolino Paperino band) e progeti simili nel modenese. Poi nel 2007 inizio questa cosa da solista perché avevo già diverse canzoni che non andavano bene per le band ed avevo fatto un agosto a Modena, in una sorta di zombie movie dove, bloccato per lavoro ed altro, invitavo amici a casa per farlgi registrare piccole parti che sono andate a creare il mio primo EP. Volevo provare quel che mi piaceva, riferimenti anche esteri come Belle and Sebastian, Adam Green, Beck, gli Eels, quel pop-folk più storto e sperimentale ma fatto in italiano, senza pretese. AI tempi lo misi su myspace ed iniziarono gradualmente a chiamarmi a suonare. Ho assecondato questa cosa che mi divertiva facendo uscire altri tre EP fatti in casa, fino ad Ahilui, una via di mezzo visto che doveva essere un demo registrato in garage da Luca Mazzieri che però ci piacque così tanto che rimase così come album d’esordio. Otto pezzi, cento copie che finirono subito, si sente che lo suonammo in un garage freddo però la gente ci si affezionò. Nulla di tradizionale ma credo abbia un suo fascino.
Paolino Paperino Band – Tafferugli LIVE
Nella tua musica si percepisce ci sia qualcosa di diverso, anche se è orecchiabile. Ascoltandola pensavo a cosa accostarci, cose italiane, che però erano tutte o più cantautorali o più punk finché mi son detto, è semplicemente Setti e basta, non lo si accosta ad altro. Da quanto mi dici questo funzionava e c’era e c’è una richiesta, quindi tanto di cappello!
Sì, guarda, come puoi ben vedere sono tutti numeri molto ridotti rispetto a tante produzioni contemporanee o cose che viaggiano su altri canali ma ad essere sincero ho un target di ascolto molto trasversale, cosa che mi sorprende sempre e tutt’ora anche per Arto ho sentito tanto affetto, persone che si sono tatuate parti di canzoni,”…un cuore di legno.” Poi mi è piaciuta tanto la cosa alla quale non ho risposto prima, dell’indefinitezza delle canzoni perché non ho ascoltato solo gruppi stranieri ma anche molta musica italiana! Tra i miei preferiti Enzo Jannacci, Franco Battiato, Paolo Conte, tutte persone storiche, ma anche i Perturbazione, Mr. Brace e la Tafuzzy Records, però i tre citati prima sono fra i miei preferiti insieme a Lucio Dalla, andandoseli ad ascoltare bene fai fatica a collocarli come cantautori. Tra l’altra cantautore è un termine tutto italiano, all’estero non esiste. Billy Corgan non è un cantautore ma scrive tutto lui. Ognuno ha le sue particolarità, fra ricerche, orchestrazioni ed altro, escono dagli schemi e sono viscerali su più livelli, cose che mi piacciono molto. Mi piacciono anche molto le melodie di Bob Dylan ad esempio, che ho studiato ed approfondito a livello testuale ma anche melodico. Stessa cosa Lou Reed, minimale ma meraviglioso. Mi fa piacere che tu abbia citato il cinema perché prima di Ahilui in realtà era uscito un altro EP, chiamato Biscotti, che suonavo a colazione in casa delle persone che mi chiamavano perche` per tre anni ho fatto il direttore di sala in due cinema avendo studiato anche quello. La sera lavoravo sempre quindi avevo pensato a questo live la mattina, mi piaceva l’idea ed era andato bene, divertendoci molto. Il cinema è molto importante sia come passione e come professione, la mia band preferita sono i REM e Michael Stipe è uno che nella scrittura è molto cinematografico ed era anche un produttore (Essere John Malkovic, uno dei miei film preferiti, l’ha prodotto lui). Un mondo diverso dal mio ma che mi piaceva e mi piace.
Being John Malkovich by Spike Jonze, trailer
L’essere trasversale, non focalizzarsi solo sulla musica ma essere onnivori a livello culturale forse può dare più respiro poi ad un’espressione artistica? Avendo più stimoli, fonti alle quali attingere (oltre alla propria vita) ed elaborandole personalmente si può avere una marcia in più?
Io sono laureato anche in lettere moderne, quind ianche l aparte letteraria che dicevi è un amia passione. Una cose che cerco coi miei pezzi ed ho piacere quando qualcuno vuole addentrarcisi, è dar oro diversi strati di lettura, sia sonori che testuali, c’è quindi un lavoro che dal mio punto di vista deve fare anche l’ascoltatore. Questo perchè a me piacciono i dischi così, dove c’è un lavoro all’ascolto che può cambiare nel tempo, notando cose nuove e che agganci nel tempo.
Ci metto dentro diverse cose che non esplicito e che mi fa piacere siano colte da qualcuno.
L’impressione che ho avuto ascotlando il disco è che tu presenti diverse situazioni, storie, personaggi, quasi facendocele vedere e lasciandoci supporre che dietro nascondano molto altro, ed in prospettiva credo che questo sia molto interessante, perché lascia spazio ad un approfindimento che incuriosisce. Sia musicalmente che a riferimenti risuoni bizzarro, poi ho sentito prima il disco per leggerne dopo il comunicato stampa ed alcune cose sono in continuative con gli altri dischi (vedi gli Stati Uniti, anche se rispetto a Sufjan Stevens sei indietro parecchio e non credo tu possa raggiongerlo)…
SÌ, ero partito da quello! Diciamo che era partito da quello anche negli scorsi ep, è un gioco mio perché poi in realtà non parlo di nulla che riguardi quegli stati, quasi con un indole salgariana, immaginandomeli e non sapendo nemmeno dove siano collocati, ma riferendomi appunto a Sufjan Stevens ed ad altri che mi piacciono. In questo caso Nord Dakota (scritto proprio in italiano) si chiamava con un altro titolo finché un amico mi ha convinto a chiamarla così ed abbiamo continuato così…
Hai citato Emilio Salgari e mi chiedo: come ascoltatore una persona deve essere trasportata e credere a quel che succede ed a quel che gli viene cantato ma in realtà nulla ha l’obbligo di essere reale. Il fatto che una persona risulti credibili quando canta qualcosa che esca dal suo immaginario o che suoni palesemente falso è forse ancora meglio perché riesci nell’intento di intrattenere e di trascinare gli ascoltatori. Il fatto che tu non sia mai stato in North Dakota dimostra e conferma la bontà dell’opera.
Mi hai fatto venire in mente un’altra cosa che ogni tanto mi dicono : in raltà io ho una vita riservata e serena, una compagna da molti anni ed un figlio ora piccolo. Alcuni sentendo le mie canzoni fanno collegamenti autobiografici, che forse in qualche caso possono esserci, ma quel che dico sempre è che non è che Quentin Tarantino vada in giro ad ammazzare la gente! C’è una tendenza all’autobiografismo che volevo cambiare, un po’ per ragioni autobiografiche perché a 39 anni stavo cercando una via per parlare d’altro facendo del pop melodico e del folk, qui ci sono invece molti personaggi che mi sono divertito ad immaginarmi! Io come metodo di scrittura tendo a produrre tante canzoni e poi buttarle via. Quelle che rimangono sono le buone, in questi sei anni ne avrò scritte una cinquantina e queste dieci, per tutt’ora, hanno resistito al passare del tempo, ai live (dove le provo spesso) e tendenzialmente quelle che restano sono quelle che rimangono più misteriose anche per me. C’è spesso qualcosa che non capisco ed il “…non capire quasi un cazzo” del singolo è proprio quello: alcune cose mi piace mi imbarazzino e mi sorprendano di me stesso.
Setti – Cazzo
Quello credo possa aiutare sempre, anche perché se tutto fosse chiaro e lampante sai che noia? Il non sapersi decifrare può aiutare…oggi ho provato a canticchiare Cazzo a mia figlia in giardino (in maniera abbastanza pessima) ed è rimasta piacevolmente sorpresa dal ritmo però mi ha ripreso sull’uso della parolaccia, anche se ha apprezzato. Credo tu possa avere presa sull’infanzia.
Mi sono capitati dei concerti per compleanni di bambini! Il mio pubblico è veramente trasversale, molto, non un po’! Tra anziani e bambini e per me è positivo, tocca campi imprevedibili. Con Setti è venuta fuori questa immagine che non sono proprio io, è l’identità del progetto e qui ho provato a forzarla un po’, inserendo parole anche volgari che però hanno un significato ed in una canzone sul pregiudizio utilizzare parole che usiamo quotidianamente però sotto un altro punto di vista è importante. Non avevo ad esempio mai parlato esplicitamente di rapporti sessuali nelle canzoni ma nell’ottica di sorprendersi ed anche di imbarazzarsi sono temi che è giusto ed è intrigante affrontare.
A livello produttivo dici di essere iperproduttivo per poi andare a scremare negli anni su quanto lavori. Tu sei arrivato in studio con l’idea dei dieci-undici pezzi oppure ti sei trovato a tagliare?
Avevo fatto un demo in casa ed in realtà poi il disco è nato durante la residenza artistica di quattro giorni quindi non avevo moltissimo tempo. Avevo un brano in più che poi ho deciso di togliere perchè appesantiva un po’ la scaletta. Il pezzo finale, Olive, in realtà è un insieme di tre frammenti nato in questa maniera: avevamo pensato che io passassi tutta la giornata a registrare in questo frantoio ed alla sera chi avesse voluto ci sarebbe stata un’ora di apertura nella quale ascoltare i provini giornalieri. Così mi sono detto, considerando che sono arrivate persone anche da lontano per ascoltarmi, di regalar loro qualcosa di speciale e così ho improvvisato ogni sera un pezzo lì, sul momento, senza scriverlo. I tre pezzi di Olive sono tre di questi, mi son piaciuti e da ghost track si è trasformata nel brano finale, pezzi improvvisato nati in venti minuti e così me ne vengono tanti. Ci sono invece pezzi, come Dinner Party alla quale sono molto affezionato, che hanno avuto una gestazione un po’ più lunga. Di solito tendo a non sistemare ed a riscrivere, qui ho cambiato ritornello, l’ho rielaborata ed alla fine ci sono arrivato.
Credo possa essere naturale che avanzando con le registrazioni, con i dischi e con il tempo si tenda a cambiare ed a maturare un po’ nel proprio metodo?
Sì, poi Ahilui ed Arto, i dischi precedenti, erano stati curati da Luca Mazzieri come produzione artistica. Lui è uno dei miei chitarristi ed artisti preferiti e mi ha sempre aiutato moltissimo: gli mandavo I demo, facevamo una preparazione insieme, ragionamenti, discussioni per poi arrivare in studio con le idee chiare. Dopo ho lavorato con Mauro da Re, un altro produttore del trevigiano che mi piace moltissimo e che come La Mela e Big Silent Elephant fa uscire un sacco di roba e lì gli ho fatto sentire I demo lavorandoci insieme. Qui invece ho lavorato proprio da solo, non avevo una figura esterna a guidarmi e limitarmi e mi ci sono buttato a briglia sciolta, penso che si senta nel bene e nel male insomma…
All’ascolto è molto coerente come disco, trovo abbia un bel filo e lo sento preciso e pulito, scorre bene ed è una raccolta a di canzoni corse e con un senso, quindi mi sembra tu abbia fatto un buon lavoro!
Grazie, grazie mille! Sei uno dei primi con cui parlo del disco a parte amici o Luca, intanto grazie per avermi chiesto l’intervista, sono commosso! Mi fa molto piacere e poi anche al tuo feedback ci tengo essendo uno dei primi ecco…
Io ti ho conosciuto fondamentalmente con Arto, del quale mi ero veramente appassionato, un innamoramento spontaneo. Quindi quando ho visto del tuo ritorno con Estate mi son detto che avrei dovuto subito approfondire rimanendone sorpreso! Spero di vederti dal vivo…tu hai già delle intenzioni in tal senso?
Adesso fra agosto e settembre ho un po’ di date. A darmi una mano ai tempi c’era Mirko Bertuccioli dei Camillas ed anche con Arto poi alla fine ho suonato tanto anche senza avere un Booking. Sono sempre andato dove mi chiamavano ed in realtà facendo così ho sempre trovato situazioni molto belle. Mi piacerebbe girare ancora, ho messo su una band, siamo in tre con chitarra basso e batteria (Riccardo Iancinella alla batteria e Carlo Minucci aka DJ Minaccia al basso) e stiamo provando da un mesetto. Stiamo facendo tutto il disco nuovo, contrariamente a quanto pensavo nella mia testa ed il tutto sta prendendo una piega interessante…
Dal punto di vista del live che ottica hai? Fedeltà al disco o trasformismo?
Diciamo che la maggior parte dei live sono in solitaria, ma anche col precedente ho avuto occasione di girare con le Tacobellas, poi per un periodo suonavamo in quattro con Luca Mazzieri ed i Baseball Gregg…diciamo che comunque le canzoni che mi piacciono sono quelle che riesco a far stare su soltanto con voce e chitarra, ora uso anche molto la loop station e riduco all’osso, parlando abbastanza, con una parte di storytelling. Questo anche perché con uno show voce e chitarra o sei molto tecnico oppure qualche chiacchiera aiuta…c’è una parte di racconto mentre con la band vado più dritto. Mi piace stravolgere alcune cose e mi piace anche, una volta scelti i musicisti, lasciarli liberi di giocare sulla struttura fidandomi di loro (ovviamente dicendogli se la direzione intrapresa non mi piace).
Ora dove ti trovi Nicola? Sei sempre di base a Modena?
No, al momento sono ad Ancona, per una scelta familiare..
Ah! Ti dirò, quando ho provato a mappare Setti, in un paio di occasioni mi sono venuti in mente gli Altro, anche marchigiani…qualche flash mi è arrivato in qualche momento…
Sì, sì, anche su Spotify credo che spesso parta il collegamento, poi La Barberia aveva fatto un tributo agli Altro, rifacendo tutto Candore (Facciamo altro, del 2012). Sono amici dell’etichetta, mi piacciono anche se non conosco tutti i loro dischi, gruppo storico…
Be Forest – Persa, da Facciamo Altro
Era un fattore linguistico molto a lato ma fra le ipotesi mi erano usciti anche loro, anche se all’ascolto del disco suona veramente molto personale.
Grazie mille, ci provo! Veniamo anche da anni dove c’era tanta roba in italiano e si è creato un po’ questo magma che non so come descrivere e volevo trovare una mia via personale per non conformarmi, trovando una strada soddisfacente per me. Poi ti dico, una teoria che ho e che probabilmente non è confermata ma credo che in Italia non ci siano canzoni autoironiche, non esistono canzoni in italiano sull’autoironia, che invece provo ad utilizzare. In Inghilterra è consuetudine, Morrisey ci va sotto ed è quella cosa potentissima e meravigliosa e come autore pop mi ha segnato molto, così come the Magnetic Fields. Hanno un tocco che in italia faccio fatica a trovare, mentre tutto sembra drammatico ed operistico.
Beh però dipende, se pensi ad Alessandro Fiori, Camillas ci sono componenti in quel senso. Spesso il pop italiano può essere drammatico/romantico o banalità ma ci sono cose di spessore, penso a Lucio Corsi anche, cose personali che però forse sono difficili da legare insieme.
Certo, io più che musicista sono un ascoltatore e di molta musica italiana sono fan. Alessandro Fiori è un cantautore enorme, un classico come Flavio Giurato, come Cesare Basile o gli stessi Camillas ed i Crema. I Camillas mi hanno cambiato la vita ed io spesso li ho trovati molto struggenti, sia su disco che nei concerti. Quello su cui scherzavo, che è ovviamente una provocazione, ma se pensavo a qualche stralcio dei miei vecchi dischi come “Era bello, era forte era sano / era meglio che finire sotto un treno” che è un po’ come “And if a double-decker bus crashes into us” di Morrisey. In Italia faccio fatica, c’è melodramma, tormento o ironia su cose distanti dal sé. Mi incuriosiva questa via inglese, melodrammatica anche dello scherzare su cose proprie, vederle un po’ in prospettiva. Probabilmente è così anche perché, avendo un pubblico molto ridotto e quindi quel che faccio non è che piaccia poi così tanto…
No, credo che con il giusto spintone, se i tuoi brani passassero in radio gli ascoltatori li apprezzerebbero. Hai un’orecchiabilità, una profondità ed una verve tali da farmi tornare sulla tua roba sei anni dopo il tuo ultimo disco gridando “Cazzo, Setti!”
Beh, Cazzo é il singolo!
Esatto! Quindi contentissimo di questo…
Mi fa molto piacere perché al di là delle esito ho dei feedback che mi piacciono molto e mi piace la dimensione nella quale posso parlare ed interagire con le persone che vengono ai miei live. Non vivo questa condizione come riduttiva anzi, amo l’iterazione da contesti piccoli (pur piacendomi anche contesti più grandi), molto emotiva anche per le emozioni che si scatenano. Credo funzioni e vedremo, son contento se più persone ascoltano le mie cose e sono curioso di come le ascoltano. Fa piacere sentire che dopo anni c’era la voglia ancora di ascoltarmi, son già contento così!
Credo sia importante anche l’avere un ritorno, un feedback. Si dice che quando si pubblichi un disco lo si dia in pasto agli altri ma anche sapere come viene recepito credo sia importante, no?
Per me sì, per me il concerto, ma come il cinema. Quando ci lavoravo (in due cinema, uno più grosso ed uno d’essai) nei dibattiti spesso la parte che manca è il pubblico. Le parti in gioco devono essere la sala, il film ed il pubblico altrimenti non c’è un vero ritorno e si torna a casa. Il momento nel quale opera, esercente e pubblico si incontrano è fondamentale. Così le canzoni le fai per chi le ascolta: con Arto mi è capitato che diverse persone mi dicessero di aver legato alcuni brani a momenti della loro vita e che questi li hanno aiutati, cosa che mai avrei pensato per un disco pop. Mi ha sorpreso molto facendomi molto piacere di aver in qualche modo aiutato qualcuno, cosciente di quanta musica abbia aiutato me.
Recentemente ho intervista una musicista kazaka, Men Seni Suyemin, che mi diceva che quando sente che le persone legano una delle sue canzoni ad un momento preciso della loro storia lei è soddisfatta, raggiunto il suo obiettivo principe. Che forse è proprio il colpire il bersaglio, entrando sottopelle a qualcuno ed il fatto che questi feed-back ti tornino è importante.
Certo, vedendo le reazioni di alcuni spettatori, persone a ridere ed a piangere la cosa diventa potente. Avevo fatto un altro progetto tempo fa, con un amico che aveva una galleria d’arte a Modena, Hiro Proshu (tra l’altro lui è Alessandro Formigoni, chitarrista dei Lomas e dei Paolino Paperoni Band, citati prima). Mi ha chiamato chiedendomi se mi andasse di suonare nella sua galleria, aperta da lui in una macelleria. Dentro c’era un frigo in muratura, un vecchio frigo anni ‘50 con la porta. Gli ho detto che mi sarebbe piaciuto rimanere nel frigo facendo venire una persona alla volta e chiudendoci dentro avrei suonato una canzone per ognuno. Un po’ Marina Abrahmovic ed un po’ una dedica esplicita alle persone. Nessuno parlava ed io estraendo la canzone a sorte la suonavo. Son venute 80 persone ed in due giorni ho suonato per tutti, ti giuro che è stata un’esperienza (poi rifatta in una biblioteca) forte, guardare una persona negli occhi suonando e cantando per lui, dove succedeva di tutto. Chi rideva, chi piangeva, chi parlava, chi mi chiedeva Tenco, di tutto. La stessa canzone la facevi a cinque persone diverse con cinque reazioni diverse, inimmaginabile. Non sempre succede ma quando succede è un po’ darmi il senso di quel che faccio, visto che da ascoltatore cerco quella roba lì.
Normalmente palco e luci ti danno una distanza mentre trovarsi in una cella con una persona che piange toccata da quel che fai credo non sia una situazione facile da gestire, toccante e turbante anche per te.
Diciamo che, sì, è stato intenso ed interessante essendo molto nuda come situazione. Facendolo ho pensato, ed è capitato, come quando scrivo una canzone nuova e mi piace e la facevo ascoltare ad una persona che veniva a trovarmi. Quel momento emozionante, dove condividi una cosa nuova e personale, una sensazione che magari non a tutti nella vita capita ed è un’emozione. Ha una sua intimità…
Per concludere volevo chiederti, cosa hai ascoltato di bello recentemente e cosa stai aspettando?
Da quando è nato nostro figlio stare dietro agli ascolti è difficile…recentemente ho aperto un live di Marco Castello ed il suo disco mi è piaciuto molto tra le cose italiane, poi le cose di amici, le uscite La Barberia…oggi ascoltavo roba di tanti anni fa, gli Everly Brothers, Jerry Lee Lewis, John Lee Hooker, cose proto rock’n’roll e proto folk. Di cose nuove, sarò banale, mi sono piaciuti gli ultimi dei Vampire Weekend, i Blur molto, sono un ascoltatore che ultimamente sulla roba italiana si è adagiato e nel periodo nel quale scrivo ascolto meno, anche se Lucio Corsi, che è l’ultimo live che ho visto, mi è piaciuto molto! Durante la pandemia non ho scritto nulla ascoltando molto, ultimamente poi ho ascoltato molto la radio, non i Podcast, proprio la Radio, Radio 3 ed altre radio tradizionali, Sleap-e, ho ascoltato il programma Bedroom, ho recuperato Beck, mi è piaciuto molto il disco degli Orchestre Tout Puissant Marcel Duchamp, diverso jazz.
Bello anche farsi guidare da una radio buona, che riacquista la sua utilità e fa scoprire…
A me piace sei gradi di separazione, Battiti. Viaggiando molto in treno per lavoro mi riascolto i podcast segnandomi le cose interessanti…mi è piaciuto molto anche il disco postumo di Sparklehorse.
Io coi postumi faccio fatica, anche di recente con Johnny Cash. Mi chiedo sempre se sia il caso…
Anch’io a tratti ma con Sparklehorse si sente come sia veramente lui. Anche uno dei miei artisti preferiti che è Arthur Russell è uscito praticamente solo postumo. Iowa dream è una delle cose più belle che abbia ascoltato in vita mia, quindi ci sono delle gemme che vanno ascoltate assolutamente. Anche Vic Chesnutt. Recentemente poi ho visto Bonnie Prince Billy aperto da Bob Corn ed è stato un live spettacolare. Non ti ho detto molto del tuo ultimo disco, in caso se ti serve altro scrivimi pure!
Beh, siamo entrati un po’ nel tuo mondo, credo possa servire come spinta all’ascolto di Estate! Grazie mille ed a presto Nicola!
Speriamo di incontrarci prima o poi per una birra, grazie mille a te!