Lebenswelt – Metaphysics Of Entropy (Under My Bed, 2019)

C’è stato un tempo in cui “indie” non era una parolaccia che evoca canzonette inutilmente sghembe e cantanti fintamente arguti ma rappresentava un genere, forse anche uno spirito, che sapeva scavare nel profondo di chi ascoltava, forse perché i musicisti avevano prima compiuto la stessa operazione su sé stessi. Proprio questo è quello che fa Lebenswelt, progetto del Giampaolo Loffredo, qui in combutta con My Dear Killer alla chitarra elettrica, Luca Galuppini/ONQ alla sega sonora, Mauro Costagli alla batteria e Pier Giorgio Storti  a violoncello, clarinetto, balalaika e…campane di Parma (?). Ma se quanto detto finora potrebbe far pensare a musica che si rifà ad anni passati, ascoltando Metaphysics Of Entropy non si trova traccia di nostalgia perché ciò che viene evocato non ha tempo e trascende qualsiasi genere o moda. Potrei parlarvi di folk, non sarebbe fuori luogo, ma tutto è così rallentato, rarefatto e smagliato da sommessi feedback e archi rumorosi da sfocare nella nebbia quelli che sono i punti di partenza: l’idea rimane quella, molto tradizionale, di raccontare malinconici attimi di vita, ma il suono diventa altro, la colonna sonora di un autunno dell’anima. Non deve sorprende quindi se fra le note dolenti di Dance Dance Dance, nella lentezza catatonica di The Morning e nel poetico disordine di Distant Colours vi apparirà il fantasma di Jason Molina, così nitido da essere quasi tangibile, oppure sentirete (ce lo suggeriscono dalla regia) gli echi dei primissimi Smog. Ma in Metaphysics Of Entropy si trova anche altro, il neo folk dolente di Cold Swollen Hand, o lo slowcore di Illusion Hold, il brano più personale della raccolta, dove la voce lotta per prevalere sul suono ripetitivo della chitarra. Sono tutte canzoni che ti parlano come se le conoscessi da sempre, ma raccontandoti di continuo storie nuove; così, quando si arriva al brano eponimo che chiude la raccolta, non servono parole per capirsi e gli strumenti suonano liberi, accomiatandosi da noi. Quello che ci rimane è un senso di incompiuto e indefinito che rende il tutto profondamente vivo e umano, marchio di una musica profonda, composta e suonata con tocco leggero: musica fatta per durare.