Leatherette – Fiesta (Bronson, 2022)

Partono freschi, con quel filo di nervosismo e di tensione, un sentore matematico che non scioglie le ostilità ma ingabbia gli attacchi come forme in movimento. Sono i Leatherette, che pensavo stesse a significare la fastidiosa “peresina” o pellicina che ti apre i lati delle unghie in sacrileghe bestemmie, ma che invece è la più prosaica similpelle. 5 ragazzi, base bolognese, registrazioni da Matt Bordin, catalogo della Jade Tree a memoria. Hanno il carico, le urla che rimangono dietro, i movimenti giusti, i brio, il ritmo. Quando sento ululare all’inizio di Dead Well alzo il volume, sento i sermone da hype man come un James Murphy di serie C che si scontra con una realtà da Neil Hamburger. Ma c’è coesione, c’è sentimento e c’è la costanza nel portare un sax che dia fastidio ed obblighi alla spiritualità. C’è addirittura un brano hard boiled come title track, che non avrebbe ragione di esistere visto che non si fuma più nei locali ma che, in effetti, un po’ fa macare quella caligine anche a chi, come me, ha abbandonato le bionde da anni. Ci sposiam del vino bianco e si tira dritti, fra visioni aeree che si tramutano in visite ai Kinsella, ottoni e pezzi brevi, in grado di prenderti alla giugulare e scuoterti per un paio di minuti.
Sanno di post-punk, sanno di provincia, sanno di tristezza ed in qualche modo anche irrimediabilmente di sconfitta. Quando debordano sono perfettamente credibili, quando decidono di suonare musica da matrimonio sono spassosi e teneri, tanto a mandare in vacca la cerimonia facendo fuggire le damigelle ci mettono poco più di due minuti. Tormento, passione, curiosità, gusto.
I losers che ci piacciono, non filateveli troppo, non facciamo che si montino la testa.