Le Cose Bianche – The Death Of Italian Power Electronics (Hellbones, 2025)

È davvero un lungo addio quello che Le Cose Bianche ha deciso di dare al mondo: previsto per il 2022 e, già al tempo, figlio di una lunga gestazione, quest’ultimo disco vede la luce solo oggi, a metà 2025.
“Vede la luce”, poi, non è forse il termine più adatto per un album di commiato, con un titolo così esplicito e che, per soprammercato, sancisce anche la conclusione dell’avventura della Hellbones Records, che nel frattempo ha deciso di cessare l’attività.
Il senso di fine, d’altra parte, è evidente fin da subito: fa strano, per un progetto che ha fatto dell’unire le narrazioni carveriane alla violente scariche elettroniche la sua cifra stilistica, ma in The Death Of Italian Power Electronics non c’è quasi traccia di voce, rimane solo il rumore. Evidentemente abbiamo già oltrepassato il confine e non ci sono parole che possano esprimere concetti. Forse, non ci sono nemmeno più concetti.
Non so giudicare lo stato dell’arte della scena power electronics italiana e, pertanto, valutare la constatazione che fa da titolo, ma probabilmente la crisi è globale, con rari nomi nuovi capaci di uscire dalla stretta cerchia degli aficionados e solo le vecchie glorie rimaste a tenere alta la bandiera. Sono fasi storiche e questo genere, con tutta probabilità, ha esaurito il proprio compito, per quanto resti un valido mezzo di espressione della propria interiorità lacerata.
Questo è The Death Of Italian Power Electronics: un lavoro personale, quasi intimo, che chiama a raccolta gli amici, dà sfogo all’intero armamentario di suoni senza compromessi e chiude i conti.
Si parte così, col rumore cieco di Amyl Juice, alimentato anche dalla presenza di Iugulathor: basso impersaturo e cassa diritta, così sparata da ottundere i sensi, il tutto per finire, un attimo dopo, schiantati contro il muro di noise granulare di Inhalants Males You Spend, che traduce in rumore il lento e faticoso senso del vivere.
Non c’è solo noise volutamente ottuso, My Dumb Horny Mood e Goongasm (titoli dall’amaro umorismo) sono dinamiche cavalcate di basso (la prima, addirittura, con un feeling molto anni ‘80) dove il rumore rimane sullo sfondo e si paga tributo, forse, ai primi amori musicali; ma già avanza Carnator, con gli ospiti Davide Andreoni e Distorsonic, e riporta il grado di violenza oltre il livello di guardia, con stridori ad altissimo volume che sembrano lamenti bestiali, espressione, ancor prima che generatore, di profonda sofferenza. The Last Shemale’s Edge (in collaborazione col famigerato Dan PK e ancora Iugulathor) è, al confronto, quasi delicata, coi rumori che restano sullo sfondo per dare spazio ai beat, ma ci avviciniamo alla fine ed è imperativo da fuoco a tutto: le frequenze di Leaking For Me trapanano i timpani, prima che una grandinata free-noise industriale dia il colpo di grazia, mentre la title track sfoggia un campionario di quello che il power electronics è stato e sarà sempre: ondate di rumore che si accavallano e urla bestiali e disperate, per un tour de force psichico e fisico allo stesso tempo.
Si chiude qua, con solo il tempo di un fugace sguardo al passato con una traccia live in compagnia di Shee Retina Stimulants, coronata da un ultimo applauso.
Non si fanno bilanci, in The Death Of Italian Power Electronics: si fa rumore fino alla fine e poi si chiude, senza smancerie. Come eredità, rimangono le parole scritte all’interno del libretto; non ve l’avevamo detto, ma ci siamo attenuti fin dal primo ascolto: “Il risultato finale non importa, quello che importa è che lo ascoltiate ad altissimo volume”.