Las Nubes sono un trio con base a Miami portato avanti da Alejandra Campos, Emile Milgrim e Gabriel Duque, di ritorno dopo il doppio esordio del 2019, con l’accoppiata SMVT e Drive Thru Debut.
La peculiarità del trio è quella di azzeccare l’unione fra parti melodiche e catchy, con la godibilissima sovrapposizione di inglese e spagnolo, alternata a debordanti stacchi strumentali nei quali sembrano voler appesantire con mano pesante e calcestruzzo circa 40 anni di intuizioni indie-rock. Del resto nel primo video cercato a casaccio su Youtube me le sono ritrovate come backing band di Iggy Pop in una I Wanna Be Your Dog. Sentite Pesada, parte macilente e d’un tratto si pesta, deserto purissimo, generatori e capelli lunghi. Voci urlate come si conviene ma su stacchi precisi e linee melodiche chiare, come riempire una chewing gum di ghisa e piombo.
Le linee vocali risentono del fascino ’60, rimasticato quel che basta per sposarsi con una coltre sonora solida e stagna. Non c’è bisogno eccessivo di velocità ne di brio, basta l’incontro fra mondi a sorprendere ed a portarci su una loro linea di fuga fatta di miele e metallo. Ci sono anche dei momenti dove il flusso è più catartico, spirituale quasi in una messianica Caricia che, in dieci minuti di durata, alterna parole in spagnolo, canti e guizzi come un coro indisciplinatamente scordato. Ad uscirne a tratti è puro caos latino, che si innalza a trance, prima di accogliere la strumentazione bruta, in un crescendo che aggiunge spessore e pece alla causa, per vibrare in profondità mentre Alejandra recita e riusciamo a carpire parole come il passaggio del sole, accettando il messaggio come pura energia. Si cambia, sprangata hispano-pop-punk con gli immancabili coretti in Enredados, parvenza di legami troppo stretti, dibattimenti fra un riff e l’altro prima che sia troppo tardi. Col passare delle canzoni capiamo che, pur trattandosi di una scelta stilistica piùttosto avventata Las Nubes riesce a spendersi molto bene sui due campi e che verosimilmente la scelta di rimanere in mezzo al guado (infilandoci anche delle belle intuizioni pop sporche che a tratti fanno venire in mente qualcosa delle attualità di Warpaint e Goat Girl) è semplicemente il loro essere. Non sempre funziona, ovvio, ma i brani ci sono, l’album ha un gran bel tiro e si fa ascoltare garantendo sonori scossoni. Noi seguiamo le tre nelle loro vicissitudini, regolandoci ai bpm per il grado di caciara necessaria a muoverci sotto il loro palco immaginario. Un palco, ne siamo certi, sotto al quale sudore e sangue non mancherà mai, noi nemmeno, birretta in mano, gomito stretto al fianco, corna pronte all’occorrenza e testa ciondolante. Ganze e gagliarde!