Marco Rovelli non lo conosco da molti anni e più ricercavo informazioni su di lui e sulla sua opera mi sono accorto di quanto marginalmente avessi informazioni su di lui. Abbiamo quindi iniziato a chiacchierare durante il pomeriggio di San Silvestro, partendo dalla lavorazione de L’Attesa, il suo ultimo disco-libro (o libro-disco) per aprirci a visioni più generali.
Ciao Marco, tutto bene? Partiamo?
Sì, sì, bene, te?
Tutto bene, dai! Ultimi impegni dell’anno prima del cenone di questa sera ma dovremmo farcela..
Ottimo! Sei in Ticino vero? Ci son passato un paio di mesi fa, a Lugano, per una conferenza universitaria..
Sì, è qui in zona, alla fine no siamo lontanissimi! Allora, ho ascoltato il disco ma non ho ancora letto il libro, aspetto di avere occasione di prenderne una copia fisica, l’idea di leggermi più di 100 pagine non rilegate o su computer mi fa impazzire!
Se vuoi parlare anche solo della musica mi va benissimo, questo è un disco libro, ma parte come disco. Per prima cosa nascono le canzoni e poi tutto il resto.
Sì, leggendo l’introduzione questa cosa salta all’occhio. Tu come sei partito per ideare questo lavoro? Quando e come sei partito per arrivare a l’attesa?
E’ nato come sono nati tutti gli altri dischi: scrivi una canzone perché ti accade, e dopo un po’ ne scrivi un’altra e così via… Quando era l’ora di fare un disco nuovo, visto che erano passati quasi cinque anni dall’ultimo lavoro, ho cercato di dargli un senso, come faccio sempre, non per fare una tracklist, ma proprio per cercare di comprendere il senso che si è formato: quando fai un disco di canzoni che chiamiamo cantautoriali un senso complessivo c’è sempre, indipendentemente dalla tua volontà. E mi sono reso conto che ogni canzone aveva a che fare con un con concetto importante della vita, dell’esistenza. Non avevo mai fatto incrociare le mie due parti di scrittore e di musicista, e questa era l’occasione. In relazione a ogni concetto legato a una canzone, ho dialogato con una delle tante persone che incontrato in questi vent’anni come scrittore e cantautore, per dargli una forma più compiuta, per dargli una risonanza: una canzone esprime nel suo modo un senso, un dialogo articolato lo esprime in un altro modo.
Tu inizi come cantautore o come scrittore Marco? Come inizi ad esprimerti in forma compiuta e pubblica?
Tralasciando il fatto che nella mia propria stanzetta da teenager facevo ambedue le cose, pubblicamente ho fatto negli anni 90 un disco con un gruppo rock apuano molto underground (non eravamo mai usciti dalla provincia apuana, per dirti), poi nel 2001 c’è stato il quinquennio dei les Anarchistes, che è stata musicalmente un’avventura importante, abbiamo girato tanto, facendo palchi importanti, ed era effettivamente un gran bel gruppo. Nel 2006, l’anno poi in cui lasciai il gruppo (non perché iniziai a scrivere libri, ma per altri motivi) pubblicai il mio primo libro per una casa editrice nazionale come Rizzoli, dopodiché le due cose sono sempre andate in parallelo pur essendo due attività molto diverse; aggiungiamo poi che nel 2002 iniziai a fare le prime supplenze come insegnante di filosofia e storia, e dal 2005 insegno ininterrottamente, esclusi tre anni di congedo che ho preso recentemente.
Sono mondi differenti oppure ambiti, pubblici e rapporto si mischiano? Chi frequenta Marco Rovelli cantautore e chi il Marco Rovelli scrittore sono popoli diversi? Io ti conosco in primis come cantautore e trovo che le diverse fasce di espressione siano relativi a fasce e gruppi diversi per esperienza ma vorrei capire la tua visione, che è quella di chi gioca su più campi in maniera differente…
Da un certo punto di vista sono mondi separati, per quanto riguarda produzione e promozione: come scrittore lavori da solo e poi hai un rapporto con la casa editrice che pensa a tutto. Dal punto di vista del pubblico tendenzialmente sono due sfere separate, ahimé, perché se si esponenzializzassero a vicenda per me sarebbe molto meglio, ovviamente.,, L’effetto positivo è dato dal fatto che nella mia nicchia musicale, diversamente da tanti miei colleghi cantautori non mainstream, nel corso degli anni ho sempre avuto un’attività musicale di concerti molto intensa, magari anche in posti molto piccoli, ma ho sempre suonato tanto: spesso mi chiedono una presentazione del libro e poi rilanciano unendoci un concerto, a volte accade il contrario viceversa, anche se è più l’attività del libro a spingere la musica. Su google ad esempio mi si trova come scrittore più che come cantautore.
Confermo ed anche questo è una cosa che mi ha piuttosto colpito. Quanto poi ci si concentra su un lato di un’artista magari si perde la completezza dell’opera, che è cosa molto interessante perché gran parte della nostra vita sarà legata al recupero di queste opere.
In questo ultimo disco riprendi tre brani, di Piero Ciampi, dei Rolling Stones e dei Nine Inch Nails (iniziando ad ascoltare il disco in prima battuta senza leggerne, a tarda notte ho faticato un pochino a collocare il pezzo trovandolo poi sul percorso Johnny Cash / Trent Reznor). Nei tuoi lavori precedenti il recupero di brani e temi è sempre stato molto presente. Cosa vuol dire per te portare avanti repertori di terzi a te legati come cantautore?
Beh, prima di tutto questa cosa nasce con Les Anarchistes, che come gruppo essenzialmente si basava sul recupero di brani della tradizione di lotta ed anarchica, ma anche cose di Leo Ferré, e qualche originale. Era un gruppo grande, eravamo 8 membri, due voci, sezioni fiati ed elettronica, una bell’amalgama musicale. Per quanto mi riguarda fino ai 30 anni per me non esistevano i cantautori ed il canto popolare, sono sempre stato un rocker: poi conobbi il canto popolare tramite un disco di Caterina Bueno del ’97, e mi sono innamorato del folk toscano. Poi conobbi Caterina, diventammo amici ed entrai in quel mondo senza più uscirne. Poi ci furono Les Anarchistes, appunto, e nel 2018 con Bella una serpe con le spoglie d’oro dedicai a Caterina un disco che arrivò anche secondo al Premio Tenco. Poi ci fu Concerto d’amore con Paolo Monti, un’altra tappa in questo percorso. Una volta, con una giornalista durante un’intervista per Alias dissi un po’ scherzando (ma diventò l’inizio dell’articolo) che mio padre è Iggy Pop e mia madre è Caterina Bueno.
Beh, una progenie mica male! Parecchio interessante….
Caterina Bueno – Le streghe di Barbazza
Siamo nani sulle spalle dei giganti, diceva un filosofo dell’XI secolo! Comunque nonostante sia poi diventato cantautore (ovvero uno che scrive testi e musica delle canzoni) il cantautorato l’ho sempre ascoltato poco. Anche con Claudio Lolli, sulla vita del quale poi scrissi un libro (Siamo noi a far ricca la terra, Minimum Fax 2021, ndr) successe così: conobbi prima lui come persona e poi come musicista. Con l’attesa, ho voluto fare il disco musicalmente più elettrico, che stava nelle le mie corde, con testi che sono indubbiamente cantautorali perché esprimono dei concetti. Non raccontano storie come fanno i cantautori tradizionali, non ci sono piccole narrazioni, io vado più per immagini e frammenti, è un altro tipo di lirica; ma il valore del testo è assolutamente centrale. Quindi sono un cantautore che voleva farlo suonare in un modo affine a chi è cresciuto con Rockerilla come rivista di riferimento nella propria adolescenza.
Questo ê un disco che presumo non sia stato scontato a livello di costruzione, musica e produzione. Che tipo di lavoro è stato concepirlo? È prodotto da te e da Paolo Monti, è corretto?
Sì, da Paolo e da me in ordine di priorità!
A livello di musicisti invece?
Allora, il corpo musicale è di Paolo Monti, nel senso che Paolo ed io ci conosciamo molto bene non solo musicalmente ma anche umanamente (anche perchè arrivi ad un’età dove, passata la fase dove collabori con questo e con quello, vuoi lavorare con persone affini come persone oltre che come musicisti). Con Paolo c’è un rapporto fraterno ed al di là di questo c’è anche un’affinità musicale forte. Siamo molto simili nelle cose che amiamo e sapevo che suoni sarebbero usciti. L’ho cercato sapendo che tipo di suoni sarebbero usciti da lui. Ho registrato le tracce voce e chitarra acustica, gli ho detto come le immaginavo, che strumenti ci sentivo, e lui ci ha costruito sopra il corpo sonoro, con la fiducia di chi si conosce, quando le cose vengono naturali. Poi ci abbiamo lavorato molto insieme.
Arrivando nella pratica all’idea che avevate in testa immagino…quando il rapporto è così forte potete lavorare dandovi un’intrigante carta bianca.
Prima delle registrazioni abbiamo fatto una prova per immaginare un corpo musicale, e quella è stata la base, buona la prima. Per gli altri musicisti, Massimiliano Furia, un batterista di grande sensibilità, che attraversi molti territori, fino all’improvvisazione, era già con me in Portami al confine. C’erano un tot di canzoni che ovviamente, essendo rock, necessitavano la sua presenza. Abbiamo registrato col click in studio prima di tutto il resto le sue tracce, In quattro o cinque brani abbiamo Lara Vecoli, in maniera minore rispetto ai dischi precedenti, ma con Lara ho sempre collaborato girando per anni anche in concerto, in chiave totalmente acustica. Paolo ha cucinato poi le sue parti all’interno del lavoro, mentre le altre presenze sono proprio collaborazioni precise sui pezzi, a Nicola Alesini abbiamo chiesto un paio di interventi di sax, lui poi ha suonato a lungo con Claudio Lolli. Ha suonato Il Cantiere, brano che nasce su un testo inedito proprio di Claudio: scrivendo su di lui avevo ricevuto diverso suo materiale dalla famiglia ritrovando questa pagina scritta a macchina e gli ho chiesto il permesso di usarlo adattandolo.
Ascoltandola a me ha ricordato parecchio alcune cose dei Franti come idea, Stefano Giaccone, quel giro lì, probabilmente l’unione sax e voce.
Ah, molto interessante questa associazione…
L’ho trovato parecchio notturno ed inquieto come disco ma poi sentendo la tua voce mi sembrava quasi che ci fosse un contrasto con questa atmosfera notturna, fra musiche oscure e la tua voce come luce, dando una bella energia al disco. Questo mi ha sorpreseo perchê evocativo e credi sia un disco che ti porta ad approfondirlo ed a rileggerlo.
Beh, molto bella questa cosa, mi piace questa descrizione…
Il disco per che etichetta esce Marco?
Per nessuna, è un’autoproduzione per la quale ho inventato un marchio, che è l’innominabile editore. E chi lo vuole deve rivolgersi a me. Le indicazioni sono sul mio sito www.marcorovelli.it
Perché questa scelta?
Due motivi. Uno, più basic, è che i dischi non mainstream si vendono ai concerti e basta, funzionava così anche facendo dischi con Squilibri (etichetta prestigiosa, e che magari riesce a portarti al Premio Tenco come è successo con il disco del 2018). Tanto più in questo caso con un oggetto ibrido: un libro ed un disco, due oggetti al prezzo di uno… Squilibri avrebbe potuto farlo, con i tempi giusti, e anche Derive Approdi, casa editrice per la quale dirigo una collana (Sabir, insieme a Federico Chicchi ed a Luca Negrogno). Ma poi ho fatto da solo. Derive Approdi è una casa editrice per libri e questo avrebbe spostato il discorso, essendo L’Attesa prima di tutto un disco. Mi son quindi messo in prima persona ad investire il necessario gestendo il tutto dalla A alla Z.
Cosa che trovo fondamentale, considerando che nell’affidarti a qualcuno sei sempre nelle sue mani mentre investendo di tuo ti sobbarchi tutto però hai potere decisionale ed è tutto tuo.
Ed infatti è venuto come volevo io. Una casa editrice ha comunque i propri layout, le proprie copertine e le rinunce sarebbero state obbligate. I contatti stampa dopo vent’anni di lavoro musicale li avevo senza passare da nessun ufficio stampa, anche se ovviamente non è certo la stessa cosa. Uno sbattimento che non so se rifarò più, gestire due tipografie, la promozione, la raccolta degli ordini per chi chiede di spedir loro i dischi….
Certo, hai positivo e negativo ma riuscendo con 150 copie a rientrare dell’investimento ed avendo avuto potere decisionale su tutto credo il gioco valesse la candela. Quante copie avete stampato?
Mille dischi ed ottocento libri, non ricordo bene!
Numeri comunque interessanti…di norma in che tirature andavi con gli altri dischi?
Guarda, io non ho mai tenuto i conti, mai, nemmeno per i libri (cosa che i miei colleghi scrittori sanno sempre, conoscono le tirature), non ho mai chiesto una volta quali fossero le tirature! Dal punto di vista contabile sono zero! Però so che ogni disco che ho fatto più di 500 copie le ho sempre vendute, quindi…
Marco Rovelli – La Finestra
Dicevi che i dischi si vendono dal vivo giustamente, a tal riguardo quali saranno le prossime mosse?
Abbiamo iniziato a novembre facendo una serie di cose, inaugurando tutto con il Premio Ciampi ritirando la targa, poi due date liguri in trio. Dicembre e gennaio ho un po’ di cose da solo: vero che è un disco elettrico ed il suo senso è quello, ma essendo anche un libro mi permette di presentarlo a volte in situazioni dove non puoi fare diversamente. Lo presento come un libro, ne parlo, lo intercalo con cinque o sei canzoni e diventa un racconto musicale, una narrazione teatrale nella quale racconto le questioni suonando i brani più facili da suonare in solo, facendo entrare il pubblico nella mia bottega e spiegando loro che sono state scritte pensando di essere suonate da un’orchestra rock.
È anche vero che dare ai brani una nuova pelle può essere anche un plus per l’esibizione.
Sì, ma poi li invito proprio ad ascoltarsi il disco, rivestendo i brani che eseguo nudi. Da febbraio a marzo poi avremo una serie di date, a Genova, Milano e Pavia, poi Firenze, Rosignano e Bologna, Reggio Emilia. Ne sto costruendo diverse e fino a giugno di date elettriche ne avremo diverse.
A livello di stimoli, ascolti attuali…sei uno che segue il presente oppure sei disconnesso nella tua opera? Sei lettore, pubblico ed ascoltatore o soprattutto scrittore e musicista?
Libri e film molto, dal punto di vista musicale meno, diciamo che mi tiene aggiornato Spotify con le sue playlist per similitudini. Vado comunque ad ascoltarmi quel che mi capita di leggere in giro ma non sono un grande ascoltatore, ascolto poco. Non sento tantissime cose che mi eccitano nel presente e nelle novità, vado comunque a leggermi le classifiche ma è raro trovare qualche cosa che mi ecciti, ho sempre la sensazione di deja vu che mi assale.
Non ti innamori molto diciamo allora…
Mah, guarda, prendi i Fountaines DC, che mi piacciono, ma il deja vu è totale. Magari ascolto anche cose molto belle ma poi non me le ricordo…
Quella può essere l’età anche!
Eh, si diventa vecchi, quello è certo.
Al Premio Ciampi com’è andata invece?
Beh al Ciampi molto bene! Avevamo vinto con Les Anarchistes all’esordio nel 2002 e nel corso degli anni ci sono tornato più e più volte e…Fino all’ultimo minuto, ci avevano chiesto un paio di anni fa quando avevano fatto un’edizione non livornese ma sparsa sul territorio se avessimo voluto partecipare mettendo in piedi una cover. Scegliemmo appunto Fino All’ultimo minuto facendola quella sera e venne molto bene secondo me. Ci suonava solo Paolo quella sera, poi ne ha rifinito la base. Quello è stato anche un po’ un premio alla carriera, se vai a vedere la motivazione è alla canzone ma anche al mio percorso. Per me, tra i vari riconoscimenti avuti quello ê stato il più caro perché nasce da un lungo percorso. Poi infatti Tomtomrock, che fa riferimento al giro del Ciampi, l’ha messo fra i migliori cinque album dell’anno, quindi c’è una comunanza di cuore ecco, mettiamola così.
Una soddisfazione, anche perché penso che il tuo pubblico ti sia coetaneo e forse con qualche anno in meno. Un’investitura del Ciampi è importante in chiave classica, come cantautore e come simbolo.
Assolutamente sì, mi ha reso davvero felice. I riconoscimenti fanno certo piacere – ho avuto anche la targa Tenco con il disco da me curato sulla resistenza – perchè marcano un senso in un percorso, ma dal punto di vista dell’ascolto non servono ad allargare in cerchio.
Una cosa che mi ha sempre interessato, in primis come produttore, è cosa gli ascoltatori ed i media pensassero delle mie produzioni. Il fatto che qualcuno si prenda la briga di ascoltarli ed analizzarli no è per nulla scontato, men che meno oggi, trovo..di gente che ha creato per una vita e che è stata scoperta vent’anni dopo la morte ne son piene le fosse.
Certo, è così. Io, venendo da un percorso come Les Anarchistes, facendo il primo disco da solista avevo già una certa copertura. Poi, dal punto di vista del riconoscimento mi sono successe molte cose in questi anni. Se anni fa il pensiero era che ad un certo tipo di riconoscimento sarebbe seguito anche un’espansione dell’ascolto, del circuito, magari un booking a disposizione o un management, beh questo non è mai successo.
Perché credi succeda? Un mondo troppo circoscritto quello del cantautorato o cos’altro?
Essenzialmente perchè il cantautorato oggi è diventato un’altra cosa, il cosiddetto indie e cose del genere, mentre il vero cantautorato è diventato di nicchia. Io poi sono un cantautore sui generis per tutti i motivi esplicitati prima, ibrido ed ho un marchio d’infamia politico, sono connotato, e questo è un altro motivo. Per qualche anno speravo potesse essere diversamente, poi ho capito che le cose sono queste e L’Attesa è anche questo: l’attesa è l’attenzione alle cose che sono così come sono.
Anche il ragionamento sull’autoproduzione credo sia un po’ l’artigianato con l’industria. Due visioni differenti ma in una macchina diversa non saresti il Marco Rovelli che conosciamo.
Penso di sì ma appunto, non avendo mai sperimentato ed attraversato questi territori non potrei nemmeno fare delle ipotesi, non avrò mai controprova!
Sarà da capire nel futuro, non è detto! Tu credi di aver trovato la tua dimensione attualmente? Vedi o progetti stravolgimenti futuri? Io sono rimasto, con gli ultimi due dischi, questo e canzoni d’amore, sorpreso perchê sono dischi che si discostano dall’idea cantautoriale, sei un musicista particolare e singolare e questa è la tua forza. Non sarebbe facile metterti insieme a qualcun altro sul panorama italiano e questo secondo me è un punto di forza.
È una bellissima cosa questa che mi dici…è una forza ma è anche una debolezza! Di certo è la mia cifra, anche da scrittore, ho lavorato un sacco su libri di margine, a metà fra saggistica e narrazione, poi andavi in giro in librerie ed ogni volta li trovavi in posti diversi. Non c’era mai uno scaffale per le mie opere, sempre ibride, a cavallo tra un genere e l’altro. Questo è un limite perchè per avere ascolto devi avere una riconoscibilità che dia sicurezza e invece no, di disco in disco e di libro in libro ho sempre cambiato, complicandomi ulteriormente la vita. Un punto di forza ma commercialmente un punto di debolezza. L’Attesa invece, come ti dicevo, è proprio questo: l’attendere. La pura attesa è lo stare senza attendere nulla, l’attenzione per le cose che ci sono, come scrivo in fondo al dialogo con me stesso. Krishna disse: Agisci senza attendere il frutto delle tue azioni, questo è il senso, tu attendi e resti nell’attesa, quello è il tuo posto, e non c’ nulla che manca.
Mi sembra una chiosa perfetta e spiega tante cose del tuo posizionamento, quindi credo che abbiamo chiuso il cerchio!
Credo che abbiamo detto tutto sì, abbiamo parlato di cose che di solito non vengono nominate quindi benissimo…. Grazie mille per l’attenzione e per tutto!!!
Grazie mille a te, spero a presto dal vivo, saluti!!!
Caterina Bueno – Le Streghe di Bargazza
Videoclip di La finestra