La Niña – Furèsta (BMG, 2025)

Due anni dopo Vanitas Furèsta arriva ed è chiaro come ormai La Niña sia cresciuta e risulti a tutto tondo un’artista in grado di prendersi il mainstream nel suo ambito di riferimento. Lo si capisce da molte cose, dai passaggi radio, dalle cifre, da tutto ma non dalla musica, forse mai cosi intensa e viscerale. Prodotto e concepito insieme ad Alfredo Maddalena aka toccobarocco riesce in dieci brani a dipingere un ritratto di Napoli fra passato e presente a tinte vivide, grazie ad una voce ed un’eleganza pregne, importanti. Nella copertina, ad opera del maestro Ciro Morrone La Niña ci guarda uscendo da un tempo misterioso, quasi a testimoniare come il suo suono possa essere pura radice, in grado di far suo il 2025. I brani sono cesellati, potenziali singoli che non possono non farci tornare in mente Teresa de Sio con però i crismi di un odierno r’n’b che passa sotto traccia, come l’elaborazione di una tradizione che in altri luoghi e nazioni è già realtà da anni ormai e che nel mainstream italiano è del tutto fallito. Guapparìa non poteva essere miglior apertura, che trasporta il racconto, il coro, la vita dei vicoli trascinata dai suoni di una Napoli che non è però città pulsante, bensì campagna campana aspra e magica, fra gatti e magie. Poi O’Ballo d’’e’mpennate prima di regalarci il primo lento, Ahi, toccante e strisciante, con una capacità di essere allo stesso punto pura e sexy, conturbante e confusa proprio come il cuore del quale canta. Poi la serpa velenosa appare, dopo essere stata a lungo nell’ombra, in una Oiné spietata.
Il duetto con Kukii esplode in un mixer digitale che affetta, spezzetta e ricompone spigoli di musica fredda e pulsante, quasi come l’agitarsi di cellule mediterranee sotto al vetrino di un laboratorio.
Chiena e’ scippe è pura tradizione che si apre fra scenari naturali, uccelli e creature, mentre Mammama’ e Figlia d’’a tempesta sono sono due parti della mela, romantica e combattiva, dove la figura della femmena lascia letteralmente a bocca aperta nella sua epicità, sostenuta dal coro e dai tamburelli dove Napoli sembra trasformarsi in una novella Themyscira. Sanghe con Abdullah Miniawy prende il golfo di Napoli, la sua anima araba e la spedisce direttamente in un calderone dagli ingredienti misteriosi ed ancora una volta magici, all’ombra di alberi ed ombre che sembrano proteggerli dal sole, in un crogiolo di voci e note oscure e speziate. Furèsta si chiude su Pica Pica, dove ancora una volta mondo animale ed umano si mischiano, questa volta sotto ad un sole magnifico. Furèsta pare disco destinato a rimanere segnando il presente di una musica che ha ancora moltissime frecce nel suo arco. Intrigante sarà capire come questa energia e questi colori verranno trasferiti nelle esibizioni dal vivo di Carola Moccia, La Niña.