Kongrosian – The Exit Door Leads In (Aut, 2012)

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Non sempre quando si mettono assieme personaggi/musicisti importanti e con una lunga storia di collaborazioni la ciambella deve per obbligatorietà di cose riuscire con il buco, ma questa volta è uno di quei (rari) casi che mettendo assieme un pezzetto della crème della sperimentazione jazzistica italiana, la ciambella riesce con un bel buco e anche con un ottimo sapore. É il secondo lavoro (sempre per AUT) per Kongrosian, questo trio di base composto da Alberto Collodel ai clarinetti, Davide Lorenzon: alto e sax soprano (nonché fondatore e curatore della AUT records) 
e Ivan Pilat al sax baritono, trombone e voce che per l’occasione si allarga aggiungendo Piero Bittolo Bon: alto sax/alto clarinetto, Nello Da Pont: batteria, Nicola Guazzaloca: piano, Edoardo Marraffa: sax tenore e Tim Trevor Briscoe: alto sax/clarinetto. Registrato nel 2011da Salvatore “Uccio” Arangio presso i locali della Scuola Popolare di Musica Ivan Illich e mixato da Ian Douglas-Moore, il disco si compone di 11 tracce per circa un’ora di musica. L’album è dedicato all’opera di Philip K. Dick, costruttore di universi, a trent’anni dalla scomparsa. E ancora una volta fantascienza e musica si prendono a braccetto per completare nel migliore dei modi un mondo non solo fatto di parole scritte su carta e che ha dato ispirazioni a tanti registi, come a tanti musicisti. La prima cosa che salta all’orecchio e la gran capacità di passare da arrangiamenti “puntiformi”, a momenti più “orchestrali” (The Long Tomorrow) fino a richiamare in diverse occasioni (Raum, Slag) una certa scuola inglese di quei gran maestri che sono Keith Tippetts e di Chris McGregor. Un bellissimo lavoro, fatto di educazione alla musica, quindi nel saper dosare le proprie capacità, ma soprattutto nel saper lavorare sugli arrangiamenti, sia in tempo reale (per quei brani o parte di essi che sono improvvisati) sia per quelli scritti a “tavolino”. Mai troppo free o troppo rumoristico, e dove la buona riuscita della ciambella sta anche nel saper suonare assieme, nell’ascoltarsi e nel condividere e misurare il suono che riempie lo spazio dell’Ivan Illich che accoglie la piccola orchestra. I brani mutano velocemente, cambiano direzione e atmosfera, creando piacevoli sorprese per l’ascoltatore. Una neonata etichetta giunta solo alla sua quarta uscita, ma che ha saputo fino ad ora scegliere tra i più interessanti esecutori/scrittori di quei percorsi sonori di ricerca e improvvisazione dove spesso in molti hanno fallito.