Giovani promesse crescono e vengono mantenute, proprio come nel caso di questi ragazzi belgi: ricordo di aver recensito il loro primo disco e di averlo trovato piuttosto interessante, ma con questo nuovo lavoro hanno fatto un passo in avanti mostruoso. Se nello scorso episodio me li ricordo a loro modo più avant-jazz-core, in questo album seguono le tinte fosche della copertina e in un certo senso mi ricordano un'impossibile incrocio fra i Wolf Eyes di Always Wrong (per quel che mi riguarda i più marci ed i migliori) e cose da avant-jazz quasi crepuscolari; per finire ci sono anche delle vaghe reminiscenze prog-industriali (anche i grandissimi Ultralyd) e più di un richiamo ai mai sufficientemente ricordati Alboth!, che pur non lesinando pesantezze mostruose hanno creato della musica notevole ma soprattutto mai scontata.
Diciamo che seppur con strumenti leggermente diversi e con un uso diverso della voce (ma non troppo in certi casi) i K-Branding degli Alboth! ricordano l'approccio, ma diciamo che in altri tempi questi nord europei avrebbero fatto la gioia di etichette come la Permis De Costruire Deutschland o della Pathological… se vi pare poco!? Paesaggi post-industriali, ossessioni, ripetizioni, tribalismi ed un senso per il catastrofico molto naturale, nonostante ciò si tratta di un suono fresco e neppure troppo revivalista, oltretutto la produzione messa perfettamente a fuoco non lascia dubbi sulla qualità di questo CD. Il disco meno primaverile che possiate immaginarvi in questo periodo: viaggio che resta "al di qua della notte".