Per la riviera ci siamo passati in tanti, da piccoli con la famiglia o da adolescenti a dividersi fra spiagge e locali. Magari, chissà, ci si capita ancora adesso. Ma qualunque sia stata la vostra esperienza, quell’aria di disfacimento, quella malinconia che questa terra trasmette, un po’ l’avrete respirata. Non è palese, la si coglie di sfuggita fra le file di cabine degli stabilimenti balneari, o con la coda dell’occhio dietro alle facciate degli alberghim ma c’è ed lì che Il Lungo Addio la va a cercare e la mette al centro della propria poetica.
Più che poetica è forse il caso di parlare di ossessione: ad oggi, ben sei CDr e un 7”, tutti dedicati alla riviera, alle sue cittadine, alle sue abitudini; d’altra parte, sei uno che se ne va in giro in abito scuro e maschera da elefante sul capo, qualcosa che non quadra c’è. Quello che quadra, nel suo particolarissimo modo, è questo Pinarella Blues, prima album ufficiale de Il Lungo Addio, nonché primo dove il nostro Ganesh esistenzialista si fa accompagnare da una band, traghettando il suono verso uno scarno post punk/wave, comunque memore delle radici folk. Sette canzoni brevi (da un minimo di due minuti a un massimo di poco più di tre), cantate con voce profonda, a volte sgraziata ma sempre efficace, dove la collisione di una musica romantica e decadente e la voluta banalità dei testi, talvolta davvero grotteschi, ha un effetto assolutamente straniante. Tra storielle che richiamano il cabaret de I Gufi, accenti degni del Faust’O più alienato (Lido Adriano) e una Pinarella Blues che ricorda stranamente Metà Settembre dei Calle Della Morte (ma è facile cantare la decadenza a Venezia, venite a farlo a Cervia…), questo sarà il vostro anti-disco dell’estate. Anche se non lo sapete, ne avete bisogno.