Il compleanno del Megawolf – 16/01/10 Ekidna (Carpi – MO)

Il compleanno di Megawolf, gigantesco cane lupo nonchè guida spirituale dei Colossal Monument e resident beast dell’Ekidna, è uno di quegli appuntamenti che non si possono mancare; le conseguenze sarebbero assai spiacevoli. Così, quando al calar delle tenebre l’ululato della bestia si stende sulla Pianura, è segno che il tempo di muoversi è giunto e in una notte insolitamente limpida per questa stagione, mi incammino verso la Bassa. Tangenziale, autostrada, poi strade sempre più strette e contorte, in un paesaggio degno de La Casa Dalle Finestre Che Ridono. L’Ekidna è davvero in culo… al lupo. Ne tripudio di trombette, stelle filanti e mini sombrero che danno un tono giustamente festoso all’evento, aprono i Korea Ping Pong Attack, col loro brutale power violence serioso e militante. Il pubblico non è ancora numerosissimo, ma i presenti non possono non farsi trascinare dalla dura requisitoria antifascista di Boia, Qualcuno Ha Mollato!, dall’attualità venata di poesia di Marrazzo (e provate un po’ a indovinare con che cosa fa rima), dalla critica radicale che inevitabilmente tocca anche le questioni estetiche in Black Ciabattas, dall’inno generazionale Giuseppe, il tutto in un vortice d accelerazioni improvvise, stop and go ed importune stelle filanti. Un accenno di Iron Man paga ai megawolf________________vulturumBlack Sabbath il tributo che stasera è doveroso ed è un peccato che, a causa di un ripensamento dell’ultimo secondo, non venga eseguita l’annunciata cover di Claudio Rocchetti. Nel frattempo è calata la Bergamo crew che reca la leggendaria grappa che tante vittime ha mietuto e mieterà ancora fra i virgulti più o meno giovani dell’hardcore italico, me compreso. È in parte colpa sua se, quando viene il tempo dei Devoggol, freschi di disco su Cynic Lab (etichetta che stasera la fa da padrona), mi perdo metà concerto. Posso però dirvi trattarsi di un gruppo che democraticamente alterna parti lente violentissime a parti veloci violentissime, sullo stile di Eyehategod o Buzzov-en, quella roba sudista addizionata di erba, insomma. Fine concerto e nuova pausa grappa (qui fanno tendenza altre addizioni…) nel seminterrato dedicato al commercio di dischi e ai colti discorsi dei presenti, poi di nuovo in superficie per gli Oracle, pure loro Cynic Lab, pure loro con un disco appena sfornato. L’assetto è quello tipico dei gruppi punk funk più modaioli, batteria, chitarra e tastiere, e può benissimo darsi che sia quello il suono a cui il gruppo aspiri. Al momento però non sono in grado di raggiungere le vette di sì sublime genere e si dedicano a una specie di doom/industrial lentissimo e vagamente krauto, ma con inserti melodici per nulla scontati. Mezz’oretta di concerto e chiusura con un pezzo finale lunghissimo e sofferto (credo sia Chant Of A World On The Verge); sul mio personalissimo cartellino la rivelazione della serata. Peccato aver esaurito i soldi (no, non tutti in grappa) e non essermi potuti accattare il disco. I Vulturum, che già conoscete, si distinguono per la pratica della decompressione pre-concerto: pare incredibile che i tre personaggi che stavano svaccati al piano di sotto pochi minuti prima a dare aria alla bocca megawolf_________________lucertulassiano gli stessi che fra poco scateneranno l’inferno. Possibile  che i fantomatici Unbelievable Cazzons, che Sergio Messina nominava spesso sulle pagine di Rumore, siano proprio loro? Comunque sia, lo stoner tribale ipertrofico e doppiamente batterizzato che esce dagli amplificatori ha buon gioco nella perfettamente insonorizzata sala dell’Ekidna e solo l’opposizione di un compatto muro di pubblico impedisce che i singoli siano spazzati via faccendo la fine di piccole parti isolate e distrutte. Il concittadino e pigmalione Lake osserva compiaciuto. Ed eccoci finalmente al momento clou delle celebrazioni: i maestri di cerimonia Colossal Monument, batteria, due bassi e due chitarre, per l’occasione affiancati anche dal prode Adamennon ai rumoreggiamenti elettronici. Tanto per variare un po’ gli stili finora proposti, si tratta di musica lenta e pesante, nobilitata dagli occhiale rosa e con le lenti a cuore del buon Gnappo, basso (uno dei due del gruppo), voce e anima della serata. Il noise non è che propriamente lo si senta, più che altro lo si percepisce sotto forma di vibrazione sull’interno coscia; se sia un bene o un male decidetelo voi. Comunque per loro quattro canzoni per una durata indefinibile, poi, per non farsi mancare niente, i Coriachi anticipano la salita sul palco e il concerto si chiude con un’elefantiaca versione di War Pig per doppia batteria e tripli bassi e chitarre. Le strutture murarie tengono, segno che i recenti lavori di ristrutturazione sono stati ben eseguiti. E qui finisce la mia serata, l’ora è tarda, la strada è lunga e Megawolf mi perdonerà se mi do alla fuga prima dei temibili Lucertulas. Il giorno dopo saprò del consueto concerto devastante e di un livello alcolico ben oltre i livelli di guardia. Chi l’avrebbe mai detto?

foto di Marcella Spaggiari