Come entrare nel merito di un’artista a noi sconosciuto al decimo album? Perché tale è la situazione mia con Ido Bukelman, chitarrista israeliano di base a Berlino, pubblicato di recente dalla sempre intrigante Torto Editions con Then I heard the clear voice of the flute, primo disco registrato in studio per Ido negli ultimi dieci anni. Banjo, chitarra, impro-folk aperto che assorbe umori e li trasmette. The crows know about it sembra una voce sacra piegata in un laboratorio di falegnameria, mentre la successiva Along the fence potrebbe essere un incrocio fra certo Bill Orcutt e Keiji Haino. Il tocco è secco e ferino e le pause non danno tregua ma anzi, caricano di storta tensione i brani. L’incedere è spesso selvatico e se di cuore si può parlare beh, di certo è cuor di bue, indole confermata da una voce che appare a tratti senza farsi acchiappare. Suoni e strumenti che sembrano urlare in una Suddenly a tree, mentre un canto in ebraico riempie road song, il brano più dritto nonostante il suono della lingua sia molto lontano dal riuscire ad essere da me compreso, tanto da atterrare in aree dylaniane. A tratti i brani sembrano essere studi e bozzetti molto riusciti, in altri momenti tornano in mente i fiati di Nmperign (All these love songs) che si aprono al flamenco in uno scenario straniante. Ido insiste fino a spasmi vocali e sonori prima di arrivare al finale di the Flute, magnifica reprise di un brano degli anni ‘40 del compositore David Zahavi, che chiude al meglio un disco che ondeggia fra selvatico ed umano in maniera brillante.
Ido Bukelman – Then I heard the clear voice of the flute (Torto, 2025)
