Gregor Samsa – 55:12 (Kora, 2006)

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Lo spunto è preso dal racconto dell'uomo insetto di Kafka e il titolo sembra riferirsi alla durata dell'album. Questa giovane band da Richmond, Virginia unisce la mistica lentezza dei Low (These Points Balance, forse il pezzo più intenso del lotto) con la poderosa epicità tipica dei Mogwai (vedi l'orchestrale Young And Old), il tutto inserito in quell'atmosfera sognante e soffusa creata da band quali Slowdive e My Bloody Valentine, destinate a mietere molte vittime anni dopo il loro scioglimento. Chi si aspetta delle poderose colate di chitarre però dovrà optare per arpeggi ultrarallenati accompagnati da susurri alternati tra voce femminile e maschile, perfettamente inserite nelle trame delle otto canzoni. Mancano pure le sfuriate noise in coda, oramai logoro marchio di fabbrica per il genere: rimane solo una sensazione sospesa di estrema dolcezza che avvicina spesso i Gregor Samsa a certe cose dei Timonium o degli inglesi (e mai troppo lodati) Lorna. L'ascolto non è facile, anch'io ho fatto un pò fatica a reggere l'oretta del disco, ricordo che appena uscito mi aveva colpito, poi arrivarono i Mono e Helios a distrarmi, così l'avevo accantonato per un bel pò di mesi. Oggi lo ritrovo ed è una piacevolissima sorpresa. Forse il fatto sia sussurrato e non urlato mi ha fatto accorgere in ritardo di quanto cinquantacinquedodici sia bello, sgomberato dalla voglia di stupire a tutti i costi.