Golem Mecanique – Siamo tutti in pericolo (Ideological Organ, 2025)

Di nuovo Pier Paolo Pasolini, quanto mai fonte di ispirazione in questo periodo: dopo il bel Crudeltà Necessaria di David Wallraff è il ritorno di Golem Mecanique, nome de plume di Karen Jebane a chinarsi di nuovo sull’argomento. Tappeto sonoro composto tramite una drone box ed uno zither, sui quali un canto sembra apparire dai tempi passati, un salmodiare di italico idioma. I minuti passano e l’impressione è quella di essere accompagnati da Golem Mecanique dentro ad un sogno, nei quali le immagini rimangono nebbiose e misteriose. Misteriose forze come tutto ciò che accadde a PPP, evocato in un atmosfera plumbea ma rurale, che ne rispetta perfettamente la poetica ed il ricordo. Gli sparuti rintocchi di piano sul finire del brano segnano un breve risveglio, propedeutico al prossimo brano, il giorno prima.
Il ricordo va a quel lambire tra folk e sperimentazione, quella terra di magia dove artisti molto differenti tra loro sono andati a seminare, dai La Tène, ai Velvet Underground al The Dream Syndicate. Questa terra viene innaffiata con una voce che sembra personificazione della sofferenza, della passione, in maniera talmente intensa da sposarsi perfettamente ai suoni ipnotici cui si accompagna, tra contrato e fluire comune. I brani si susseguono in maniera dolce, poetica, dopo quel primo iniziale buio che ci adombra. È la cronaca a svegliarci, l’annuncio della morte di Pasolini in Il giorno, Karen che canta del suo cuore che se n’è andato, per poi trasportarci sulle note del drone box, vero e proprio vettore onirico e magico. La tua ultima serata e la memoria va a Al Pommidoro, Al Biondo Tevere, a Pino Pelosi ed al misfatto, sul quale ancor oggi ci sono più dubbi che certezze. Golem Mecanique sembra in questo caso però una presenza esterna, un involucro che forse tutto vede ma con il quale la comunicazione è sibillina e vaporosa, toccante ed accorata. Con Le Lacrime di Maria a salirci è la Medea di Maria Callas, altra presenza che la stessa Karen cita come presente in questo disco, al pari di Scott Walker. “…just wanted his body not to lay alone on that cold beach.” Dice Karen nella presentazione e il sentore lenitivo si percepisce, così come l’affetto e la profonda desolazione umana che si arrabatta per sostenersi. Un disco che non viene sommerso da Pasolini ma che come la sua opera apre porte, finestre e pensieri, a correre in mille direzioni.