Goat Girl – Below the Waste (Rough Trade, 2024)

Per il loro terzo album il trio delle Goat Girl decide in qualche modo di mischiare le carte. Dalla copertina si suppone un’album notturno ed in qualche modo fantastico ed in effetti l’incedere del trio sembra essere quello: suoni minuti, piccoli richiami folclorici, un’oscurità diffusa dalla quale quale appaiono come creature misteriche. Ritmi bassi, una voce (quella di Lottie Pendlebury) calda ed evocativa, una strumentazione di supporto che sembra concentrata a misurare gli interventi costruendo delle canzoni che sembrano piccoli riti. Il tutto quasi sottotraccia, almeno fino ad arrivare ad una tcnc selvaggia ed aperta, nella quale le vicissitudini legate con le sostanze vengono in qualche esorcizzate. Ma è un secondo, le ritmiche si rifanno sotto, il basso di Holly Mullineaux e la batteria di Rosy Jones si fanno sentire, ricoprendo il tutto con con un manto oscuro e sofferto, senza però appesantire mai il disco, che rimane intrigante e sinuoso. Prelude è una scoria ripescata in un passato lontano fra crepitii, animali ed una struttura maggiormente ancorata ad un’idea di cantautorato intimo e diretto.

Con il passare degli ascolti e dei brani si percepisce il lavoro che la band è riuscita a costruire insieme al produttore John ‘Spud’ Murphy: piccole sfaccettature, un suono terroso ed un qualche modo folk che però riesce ad aprirsi meravigliosamente alla luce. Quando succede la musica prende il respiro della grande canzone. Succede con 10 parole 10 in I’ll take it away from you, un pianoforte e degli archi che come una bassa marea bagnano le nostre interiorità. Spesso i brani finiscono gli uni negli altri ma la sensazione è che le Goat Girl del 2024 siano una band in pieno fermento e che Below the Waste sia un’immensa distesa dalla quale le tre musiciste abbiano pescato questi brani, lasciandone almeno altrettanti. Un’ispirazione che non ha cali di tensione, mai citazionista e personale, che non vuole stravolgere mondi ma svelarne le ombre e le profondità.Jump Sludge lascia volare Holly e Rosy a creare un tappeto che si chiude con delle tastiere e dei cori lontani, a franare mantenendo le proprie componenti pop martoriandosi sempre di più. Le mancanze ed i dolori di Sleep Talk sono ovviati tramite una minuscola fanfara tascabile a colorare gli spazi di un brano che, a dimostrazione della bontà dell’album, unisce più mondi e riferimenti all’interno di tre minuti, mondi che non si palesano ma dei quali riconosciamo delle tinte in sottofondo, come luoghi conosciuti in maniera non cosciente. Ma le Goat Girl sono qui ed ora, ed in questi 48 minuti hanno dato un’ulteriore conferma della loro bravura e della loro intensità in un disco che ci ritroveremo ad ascoltare fra le stagioni, i cambiamenti di luce ed i momenti di magica solitudine.