Avevamo lasciato Giovanni di Domenico su queste stesse pagine come il suo Succo di formiche la scorsa estate, mentre JAB (al secolo John Also Bennett) passo sotto le nostre penne con lo splendido viaggio in South Dakota di Out There in the Middlesbrough of Nowhere. Il terzo vertice del triangolo, Pak Yan Lau, è una musicista belga con origini ad Hong Kong, pianista e manipolatrice di suoni.
In trio con una strumentazione composta (Fender rhodes, piano preparati, flauti, oscillatori, organi ed elettronica, una kalimba in ceramica ed un idrofono) partono per mare, senza però cadere nel movimento ondoso e nella tormenta. Piuttosto si muovono in superficie come enormi cetacei lontano dalle coste, inseriti in un’ecosistema che riesce a mantenersi integro, per nulla invasivo, foraggiato dalla corrente. È una musica rasserenante nella Vernal iniziale e nella successiva Melt, con gli strumenti che non si coprono ma che convivono come flussi a temperatura diversa in un unico moto liquido.
Registrato in un pomeriggio di dicembre a Bruxelles e costellato da una sabbia chiarissima in copertina con sparite orme umane, Tidal Perspective si inquieta e si increspa in una Generational che per un momento si incupisce trovando però respiro e volo quasi istintivamente grazie alle evoluzioni di Pak Yan Lau. A tratti le fasi aeree e flautate del disco trasmettono un sapore dolciastro che però è ben mediato dalla sapidità della kalimba. La parte del leone la fa la title track, a barcamenarsi in una bonaccia che porta in dote qualche linea di tensione, a titillare un sentore di corpo estraneo, di pericolo latente. Il Fender Rhodes di Di Domenico sembra riecheggiare dei decenni passati e chirurgicamente profila una linea di tensione che va scemando in comunione con gli altri strumenti, per una chiusura quasi onirica ed evocativa.
Tidal Perspective è un bel pomeriggio di incisione, sessione che ci trasporta in un mare amniotico nel quale fonderci e confonderci, con note come luci e stelle all’orizzonte.