Fast Forward / T Cells – Split 2×3″CD (Three One G, 2004)

Ci si domanda spesso (sì, giuro che ogni tanto mi stupisco a domandarmelo) dove la incredibile forza critica di due gruppi come Kraftwerk e Devo sia andata a finire. Me lo domando quando mi capita di ascoltare gruppi di ex metallari, “grinder del cazzo” per loro stessa definizione, che per qualche ragione prendono in mano le tastiere e si ritrovano a sperimentare.
E finiscono per essere riconosciuti al massimo come figli bastardi del demonio, vomitati dalla Vermiform, in passato, o dalla Three One G, che pare esserne diventata la filiazione più prossima. Ora. Non so cosa abbiano in testa alla Three One G, appunto, ma questo disco è disturbante. Oltre ad essere un doppio mini cd da 3″ e ad avere due grafiche distinte e diverse è quantomeno poco educato da parte loro spiazzare così il povero ascoltatore. Questi supposti ravveduti sulla via di Damasco che, abbandonata la retta via del thrash, lasciate lontano le loro sferraglianti chitarre e doppie casse insistite si permettono di citare il possibile e l’impossibile, dai The Normal di Warm Leatherette di Daniel Miller della Mute ai Crime, qui addirittura onorati con una cover di Maserati rifatta dai T Cells, che sembra una versione incoerente e ignorante eseguita da un bambino dotato di batteria elettronica e non più di due suoni crustissimi. Io capisco pure che questa gente, che di mestiere suona in gruppi come Locust e Le Shok, ma già anche nei Distraction, Nazti Skins e Wrangler Brutes, ne venga dalle parti di Born Against e Men’s Recovery Project e che in effetti il tiro in questi dieci pezzi non manchi mai… Però boh, dai oh, vada per la devoluzione e anche per la sua dissoluzione, però in questo gran casino ci si perde. Non c’è la linea ben marcata di un gruppo come i Rah Bras, o le facilonerie di un figliastro di Alec Empire. Piacermi mi piace pure il disco che ha in M.O. dei Fast Forward e nella già citata cover i suoi punti più alti. Però, appunto, qui non rasentiamo neanche da lontano l’intellettualismo dei Residents, nè la resa provocatoria dei Devo e neppure la cura teutonica della macchina dei Kraftwerk. Ci troviamo di fronte ad una liberatoria cacofonia che poco meritatamente si vanta di esser figlia degli Screamers buttando un po’ il fumo negli occhi a chi, magari, qui sperava ardentemente di trovar risposta alle proprie domande esistenziali. Dove stiamo andando? La macchina ha già superato l’uomo e siamo semplicemente in un incubo di Ballard? A sentire questa musica forse si, ma per non sbagliare, concederò un altro giro nel lettore a qualcuno che abbia messo un po’ più a fuoco il mix tra violenza ed elettronica, i dDamage magari…