L’indomabile Asbestos Digit continua a fare il proprio gioco con uscite che ne mantengono ben alta la nomea. Per questa partita pre-invernale lancia direttamente sul tavolo due belli assi ad aprire una mano piena di prospettive e che non può lasciare indifferenti.
Di ottobre la pubblicazione del progetto F+A che vede coinvolti Stefano Albanese e Adriano Fontaneto alle prese con chitarre (acustiche ed elettriche), field recordings e rumori vari. Flux Laminaire si situa dalle parti di un landscape contemporaneo di ottima fattura. Si va da paesaggi distanti e accatastamenti di rumori di fondo, in cui le le sei corde suonano distanti e sommerse di coltre opaca per staccarsi di tanto in tanto a concedere mimetici snodi narrativi, a bordoni che si apprendono addosso a sensazioni di totale spaesamento al cospetto di una contemporaneità così interdicente (Sillons Profonds e State). Le distorsioni fanno capolino con una tempistica perfetta aumentando l’inquietudine di base e cercando di spettralizzare ulteriormente lo sguardo (Repli). Un brulichio che nella finale Matière Éparse vede la collaborazione Daniele Veronese a disperdere voci sullo sfondo e ad aumentare via via la grana di un suono che da elucubrazioni chitarristiche care a Loren Connors si distribuisce in un teso bordone post-industriale, dissonante e spigoloso, che arriva splendidamente a collimare con tagli di classica contemporanea.
Daniele Veronese sigla anche l’uscita settembrina di casa Asbestos, occupando un lato dello split condiviso con Maurizio Bianchi, qui col suo moniker M. B. Intitolato 8, l’EP contiene due omonime composizioni di circa otto minuti che ragionano sui significati culturali e filosofici del numero preso a riferimento: nella simbologia cristiana l’ottavo giorno rappresenta la trasfigurazione, nel taoismo le otto forze della natura derivanti dall’interazione cosmica di Yin e Yang e nelle antiche religioni pagane l’8, posto in posizione orizzontale, è il simbolo dell’Infinito. Se Veronese si muove con una certa contiguità con il progetto F+A, fotografando un paesaggio denso e impregnato di fantasmagorie vocali e organi a dettagliare vaghe armonie soffocate, il maestro Bianchi rifiuta il concetto di infinito per concentrarsi invece su quello di completezza. E lo fa utilizzando la sua riconoscibile e illuminante tecnica compositiva con cui stende una lotta tra bordoni, che collidono in una metamorfosi continua tra dissonanza e armonia, tra esasperazione delle frequenze alte e labile ricerca di accordo simbiotico. Una visione come sempre profonda e mai e poi mai scontata.