Eugene S. Robinson & Philippe Petit – Last Of The Dead Hot Lovers (Truth Cult, 2012)

È piuttosto sorprendente la forma di questa collaborazione fra il prolifico Philippe Petit ed Eugene Robinson: non un album di canzoni dove la voce del nerboruto cantante degli Oxbow si combina con l’elettronica, ma una specie di radiodramma a cui il francese fornisce la colonna sonora. C’era in realtà un precedente, la messa in scena di The Crying Of Lot 49, tratto dall’omonimo romanzo di Thomas Pynchon, ma questa volta i due (anzi i tre, come vedremo) lavorano su materiale inedito.
Last Of The Dead Hot Lovers racconta con freddo cinismo la fine di un amore, con le sue amarezze, i suoi eccessi e le sue crudeltà, messe in scena attraverso due lunghi recitati in cui Robinson duetta con la cantante e ballerina polacca Kasia Meow (Szczecin, Poland’s Terrible Disease, Fake), in modo davvero poco elegante non citata fra i titolari del disco e nominata solo nei credits, sebbene, al pari del collega, sia autrice ed esecutrice della propria parte di testi. Le parole dei due protagonisti quasi mai si sovrappongono e solo in Dinner Done, la prima traccia, interagiscono, mentre in Going.Going.Gone., più narrativa, si rivolgono allo spettatore, ora con tono piano, ora concitato. Petit lavora con field recordings, elettronica, giradischi e chitarre preparate; la sua opera è oscura, sia nei toni, un’elettroacustica rumorosa e a tratti stridente, che ben si adatta ai temi tattati, sia dal punto di vista della scrittura, adeguandosi a creare le ambientazioni sonore per le due voci, le vere protagoniste. Sebbene sia ammirevole il modo in cui il musicista si metta al servizio delle parole e il suo lavoro sia indispensabile a elevare l’ascoltabilità al di sopra di quella di un comune spoken word, la fruizione non è tuttavia troppo dissimile da quella di album di questo genere: il disco non spicca per il valore musicale, è piuttosto paragonabile a un’opera teatrale che regge bene nonostante l’assenza della parte visuale. Last Of The Dead Hot Lovers chiede molto all’ascoltatore, tempo e dedizione, ma una volta ascoltato e compreso, ben difficilmente invoglierà a un secondo ascolto, a meno che non ve ne siate innamorati. A me, onestamente, non è successo.