Nel recensire Vibbria il CD-R d’esordio dell’ensemble brianzolo, auspicavamo per loro maggior visibilità, così da poter raggiungere un pubblico maggiore di quello che solitamente li incrociava ai concerti. La sempre attenta Boring Machines ha raccolto l’invito, dando alle stampe questo LP omonimo di sei pezzi.
Nel tempo che separa i due dischi, i membri degli Eternal Zio hanno avuto modo di farsi notare singolarmente: Rella e Roberto con alcune uscite a nome Rella And The Woodcutter, Maurizio Abate con un disco su Holidays e una serie di date in compagnia di Bemydelay e Jozef Van Wissem, Valla con un disco di folk eccellente, che sarà fra poco bissato da un nuovo lavoro. Di tutte queste attività, Eternal Zio conserva molto dello spirito, ben poco del suono. Le coordinate sono quelle che conoscevamo, e portano verso Oriente; i paragoni vanno cercati lontani nel tempo, Third Eye Band e Aktuala, che già avevamo notato, ma potrebbero venire in mente anche i Pink Floyd sperimentali del secondo volume di Ummagumma; tuttavia, in maniera piuttosto sorprendente, la musica appare improntata a una certa compostezza, sebbene la forma aperta delle composizioni eviti ogni rigidità. Abbandonati in buona parte i bordoni e l’oscurità che caratterizzavano il primo lavoro, così come una certa indeterminatezza della musica, che pur era funzionale nel disegnare atmosfere in cui perdersi, i quattro uniscono alle abituali melodie ondivaghe tutta una serie di percussioni, che scandiscono il tempo in quasi tutti i brani. Invece di limitare la libertà, i battiti potenziano le doti espressive del gruppo: da un lato forniscono un’intelaiatura solida su cui vengono ricamate le melodie acustiche, dall’altro con le loro cadenze continue, sono essi stessi elementi di possibile trance. Non mancano poi i momenti più tipicamente free, come nel quarto brano o i toni liberatori dell’ultimo, con una chitarra elettrica che imperversa, ma appaiono meno caratterizzanti di quelli dove la commistione fra ordine e forma libera portano il tutto ad un livello più alto. È insomma questo un album maturo, che non sacrifica lo spirito dell’esordio ma sa evolverlo in una musica a tratti quasi sacrale, dove, grazie a un’alchimia non scontata disciplina e psichedelia vanno felicemente ed efficacemente a braccetto.