Le camere dell’inferno dell’Ensemble Tikoro, dopo l’ascolto in Triennale lo scorso giugno, vengono finalmente pubblicate dai regaz di ArteTetra su uno dei loro imprescindibili nastri. Già, che qui non si tratta di creazione del bisogno, del resto a nessuno sano di mente sarabbe mancato un album di metal vocale a cappella, ma una volta acceso, che ve lo dico a fare…c’è da averne paura.
Le voci degli indonesiani si fondono una insieme all’altra in un crogiuolo di malignità e paura, spinta fino ai limiti del parossismo per una performance che da un lato si fa teatralitâ pura e dall’altra ricerca, considerando quando equilibrata ed oscura essa possa essere.
Guidati dal compositore e docente di teoria musicale Robi Rusdiana insieme a diversi soggetti legati alla scena di metal estremo locale la sarabanda può trasformarsi da un momento all’altro da uno sciame di insetti impazziti a latrati subumani senza soluzione di continuità che non sia la discesa in un abisso a noi sconosciuto. Viene in mente la poesia Vogon magistralmente creata da Douglas Adams a tratti, senza la sua perentoria insopportabilità ma con la medesima forza di offesa ed utilizzo di cavi orali che si fanno portatori di scoria e di maldigerita purulenza. Tappe con passaggi scat come se fossero stati eseguiti dai Caninus, discorsi che rappresentano il tormento ed il crollo psicofisico come letale White Side.
Quando le conversazioni concitate si trasformano in urli di battaglia con in De Sapiens ritmo e trasporto ci trascinano letteralmente in un mondo fantastico fra urla e gemiti, in quadri vocali rigorosi ed emozionanti. Ovunque c’è la sensazione di tracimante ed umida oscurità, quasi le budella siano esposte in un antro buio, dal quale si parta per il mondo intero.
Poi qualcosa cambia: a partire dal sesto pezzo, Momoke Titol, ci ritroviamo all’interno di un progetto condiviso dall’ensemble insieme a Lucy Guerin, nel quale, su spunto forse di Luigi Monteanni miscelano le due forze vocali, maschili e feminile, in un flusso che se da un lato perde in graniticità dall’altro guadagna in un’espressività ferina e selvatica. Quattro brani questi che hanno svelato un altro lato dell’ensemble che, ritrovatosi poi solo, sembra essere comunque trasformato nella successiva scaletta, con una poliritmica Kararanyut letteralmente ubriacante. Giocano maggiormente con la melodia ed i sospiri i Tikoro, forse maggiormente liberi di volare qua e la dopo averci fatto sentire rabbia e cattiveria in un primo istante. Una rutilante Arap Ap Eureup Eup che mischia galoppante western a gigioneria da cabaret e l’onomatopea miagolante di Mewng ci trasportano agli estratti da Ge d’Bog che i più scafati ricorderanno parzialmente inclusi nel terzo volume di Exotic Ésotérique già nel 2021 e che qui si esprimono in tutta la loro confusionaria forza, ivi comprese le flatulenze pernacchiate che ben mi ricordavo dall’ascolto dal vivo, per terminare la sua prima parte in una rabbiosa discussione e perentoria masticazione come se essa fosse stata affidata ad un coro di mostri dalla Magna Grecia (rutti inclusi). Ma c’è di tutto, la giugnla, il sussurro, l’infanzia e le risa, finanche ciò che sembra essere un coito convulso e gioviale in questi quattro specifici brani, un mondo in un mondo che ci rimane oscuro a tratti ma in qualche modo si collega al nostro lato più istintivo. Quasi al termine Rythmical Mantra Part 1, il brano più lungo della raccolta con i suoi 6 e più minuti alterna il sussurro ed il bordone vocale, con i diversi strati che si uniscono nell’ennesima dimostrazione di colorata potenza dell’Ensemble Tikoro, che si chiude su quel che sembra il vibrare di bicchieri di vetro. La chiusura, che strappa il cuore, è lasciata a Yang Tertinggal, melodiosa e vitale. Giava e l’Indonesia hanno sempre stregato il mio immaginario e porto nel cuore ancora quanto condiviso anni fa sulla mia piccola etichetta di un tempo da Arrington de Dyoniso e dal Mr. Sutak’s Group di Sutak Wardiono. Ora avrò altri riferimenti di un mondo che rimane lontano e misterioso, grazie all’ensemble Tikoro ed ad ArteTetra. Lasciatevi trasportare altrove.