Enabler – All Hail The Void (Southern Lord, 2012)

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Mi ero ripromesso di non cagare di striscio nessun disco della Southern Lord che presentasse una copertina nera e contenesse il suffisso “-core” nella descrizione della musica del gruppo. L’ennesimo pastone crust/metal revival di terza mano mi avrebbe davvero rovinato l’autunno. Ma non di soli mattoni si vive ed ecco che  arriva gradita la sorpresa degli Enabler, band di Milwaukee che regala un bel dischetto. Pregi immediati: non fanno quell’indefinito ibrido crust/black metal che stufa dopo due minuti, suonano abbastanza vari pur facendo “hardcore”, e soprattutto non hanno pretese di fare pezzi introspettivi e progressivi da 27 minuti. Gli ingredienti di partenza rimango sempre i classici: due torrenti, hardcore e metal, che a tempi alterni si gettano in fiume, ossessivo, impetuoso, dai bagliori d’acciaio. Musica potente, non sempre veloce ma sfiancate, fatta con una certa conoscenza della materia e capace di pungere. Laddove le ultime uscite dell’etichetta avevano svuotato fino all’osso un genere monolitico e già di per sè scarno come il crust, gli innesti metallici, rifferama potente e interessante, i tempi marziali e una voce al limite ma ben bilanciata, ridanno longevità agli ascolti di un prodotto violento ma quasi mai inascoltabile. Dietro le pelli un certo Andy Hurley, noto come batterista dei poppettari Fall Out Boy ma già responsabile delle ritmiche di una autentica band culto come i vegan-straight edge Racetraitor, detta legge e sposta il baricentro verso certo new-school oltranzista anni 90′ che ispessisce ulteriormente il valore, già discreto del disco. Sotto la pioggia di riff solidi e alienanti non può che far piacere riassaporare l’algido rintocco di storiche band come i Disembodied: sia chiaro, siamo ben lontani da capolavori come If God Only Knew The Rest Were Dead, Diablerie o Heretic. Ma la fangosa cattiveria covata e poi fatta deflagrare, come il gruppo di Minneapolis ha insegnato, conferisce una trasversalità e uno spessore inattesi a un disco che supera ampiamente la sufficienza. Non fondamentali ma gradevoli, un’occasione per riscoprire chi, quasi vent’anni fa rivoluzionava un genere e, ancora oggi, risente di un colpevole oblio.