Un orso in mezzo ad un bosco, piante antropomorfe, mascio e femmina, ad ornare il paesaggio di questo nuovo album di Elli de Mon. Musicista, scrittrice, già Almandino Quite Deluxe ed One Woman Band in giro per il mondo, negli angoli e nelle strade più oscure. Però ad un tratto il cuore spinge per il ritorno a casa, nella sua Sant’Orso, in provincia di Vicenza: qui la storia si complica, andandosi ad incrociare con quella di un uomo gravato da una profezia, che innamorato della figlia di un re la uccise in un raptus di gelosia insieme al suo amante, rivelatosi poi suo padre. Da qui un pellegrinaggio di 12 anni terminato sotto le pendici del Monte Summano, poco distante da dove questo disco prende il via. Quella di Elli de Mon è una musica che parte dalle radici ma non riesce a fermarsi lì, troppo forte la potenza dell’artista, che riesce a viaggiare fra soul e gospel, utilizzando il vicentino con fare da stregonesca imbonitrice, quasi un’irridente Screaming Jay Hawkins ancorato al folk nell’iniziale title track, con un coro assolutamente perfetto, a montare un crescendo che è puro risveglio della natura, potente e libero. Poi i due Raìse, Marco Degli Esposti e Francesco Sicchieri cominciano a pestare duro, i giri aumentano e non siamo molto distanti dalle più decise scorribande rock, al limitare dello stoner per massa polverosa. L’insieme è qualcosa di completamente inedito alle mie orecchie, sexy e saziante. A tratti, ma solo a tratti, mi vengono in mente alcune cose dei Big Sexy Noise piegati al territorio ed alla leggenda. Ma c’è anche il western ed una dolcezza materna e tradizionale, Suman mi ha riportato direttamente allo storico Matrilineare ed a certe pieghe redenghieresche, cullato dalle voci che si fanno vento e che rincuorano.
El me moro mette i brividi per l’intensità e per l’accettazione della violenza coniugale unita all’alcool e pensarla un brano tradizionale cantato dalle donne della regione ci spinge a porci parecchie domande sull’andazzo vigente e sulle stronze abitudini che diventano vita quotidiana. Quando il rombo esplode vien voglia di urlare, affrontarlo sotto gragnuole di colpi come fossimo in un fumetto di Daniel Warren Johnson e potessimo chiamare a noi Murder Falcon con la potenza del suono. Poi il lirismo stomp di Foresto, sangue ed anime selvatiche, ululati sotto le fronde ed il vento emesso dagli amplificatori. Oseleto è un flash commovente dai rami, un aria quasi medioevale, il cielo ed un esserino indifeso, cantato da chi potrà prendersi cura di lui. Babastrii ha addirittura qualcosa dei Beastie Boys per aciditâ e ci si immagina questi pipistrelli lanciarsi in picchiata con verve ed impeto nella notte. Giose potrebbe essere un brano d’amore, così lo percepisco ed è caldo, rincuorante e semplicemente bellissimo, perfetto per aprire alla luce che si apre nel buio che è Sarò Tera , brano folk che sembra avere le stigmate della grandezza, tanto che mostri come Pierangelo Bertoli e Fabrizio De André non sembrano distanti. La ninna nanna di Nanna Bobo mi lusinga ma non è il momento di cedere, vista la resistenza di Orso ed il serpeggiare di un frastuono che in qualche modo cheta e riporta alla pace del sonno. Mi rendo conto di come sia difficile capire cosa sia, al momento, Raisé. Viene il sospetto che, oltre ad una porta sull’anima di Elli de Mon, possa anche diventare uno standard per chi si dibatte fra le proprie radici e la potenza del suono.
Elli de Mon – Raìse (Rivertale, 2025)
