Sebbene al disco d'esordio, il cammino dei genovesi Edgar Cafè è lungo e denso di caratteri propri ed eterogenei. Difficile infatti riuscire ad etichettarli nella musica cantautoriale quanto semplicemente nel folk mediterraneo: il collante più evidente di questo disco è una matrice rock, sporadicamente orchestrale, ma pregna di un'epica crescente, erede della wave più nobile (U2 e Simple Minds, almeno nella prima parte). Morbide melodie, molto ragionate negli arrangiamenti e negli inserti di strumenti come violoncello e fisarmonica che, oggi ancora (e forse per fortuna) non sono facili da sposare a questo genere di progetti. La voce di Antonio Maria Melvavi è calda e convincente, testimone di storie più gotico-piemontesi che liguri e questo è un bene, ma non per becero campanilismo, piuttosto perché permette di esportare la band fuori dal solito triste melange (nel senso buono) e in-golfato (nel senso di Tigullio) che ascoltiamo abbastanza spesso a Genova. Un album che non ha un singolo nel senso stretto del termine, proprio perché la costruzione dei pezzi procede per capoversi piuttosto che per refrain e break, stimolando l'attenzione dell'ascoltatore sulla narrazione piuttosto che su un ritornello. Disco consigliato a chi ama Corto Maltese, Vinicio Capossela e a chi ama addormentarsi con la testa sui tavoli di marmo delle vecchie osterie. "Un minuto fa ho scritto tutto ciò e già l'ho scordato eppure son io spiaccicato sul foglio a svenire, a svanire ad elemosinare…".