Dunn with Lords and Lady Kevin – s/t (Overdrive, 2024)

Chi si assomiglia si piglia recita un detto che, pur non brillando per freschezza, spesso ci azzecca.
Immagino quindi così i rapporti fra Kevin Rutmanis e Gina Skwoz, già Cows lui (il fatto di essere stato uno dei Cows è quanto più vicino ad una divinità per me) e pazza artista visiva lei. Nel lockdown del 2020 la coppia inizia a produrre suoni, che elabora insieme a David Livingstone dei God Bullies, scomparso lo scorso anno. Dopo un primo lavoro andato rapidamente esaurito i due si uniscono con un’altra vecchia lenza (tale Trevor Dunn) alle pelli, continuando ad estrarre una pasta sonora finalmente arrivata a stampa e pubblicazione.
Non stupisce che ad occuparsi della stessa sia la lanciatissima Overdrive Records, prodiga nel proporci Last Days At Hot Slit. Le undici tracce del disco di esordio sono in qualche modo ubriacanti, libere da un filo logico che non sia un senso di incombente follia. Il suono è a brandelli, segue linee del tutto personale in una sorta di accumulo fossile, quasi che gli strati strumentali si sommino l’un l’altro a creare atmosfere pregne ed infestate. Non c’è mai aggressività né furia, ma una covata energia che viene trasudata e crea contagio. Prendiamo Devil Woman, è praticamente una torch song, si immagina il fumo attorno al cantante ma intorno a lui sembra scatenarsi una sorta di tempesta psichica, quando le posate iniziano a titinnare, i visi vengono trasfigurati e quell’uomo elegante sembra sempre più luciferino. La gestione del rumore è praticamente perfetta, portandolo ad un livello di tappeto sonoro sopra al quale officiare riti e malie.
Poi una sorta di groove brutale a bassissima fedeltá, che sembra provenire dal peggior garage riporta il ritmo e la batteria all’interno della scena in qualche modo rock, con un predicatore al microfono come Jimi Hendrix nei suoi trip peggiori, finendo dritto all’inferno come su un vagone di una miniera verticale. Ormai lanciati verso un gorgo il primo lato del disco termina con Humanity One, rintocchi indianeggianti, suoni acidi che sembrano uscire da nastri polverosi ed un cantato che interviene solo a sprazzi, sexy come non mai.
Si riprende con una personale versione di un free jazz cantato che esprime la voglia di rigettare ancor più confini già laschi. Più si avanza più vengono in mente i momenti più blues degli US Maple, fra Talker ed In Thrills, quando senza tensione riuscivano a portarci altrove in un mondo assurdo e fatato. Così i The Lords e Trevor Dunn, in maniera più scheletrica e vagamente western, lasciando galleggiare su un tappeto oscuro i propri suoni. Come un coniglio da un cappello poi tirano fuori un finale come Sweat Jesus che sembra ritrarre un deserto che chiama a sé i disperati ed una Indifference che è l’unione fra un canto di chiesa, una voce nel cervello e e la sensazione di essere soli per sempre al mondo. Soli e trini: i due Lords, Lady e la presenza eterea di David.