Rieccolo. Il Raggruppamento Musicale Non Solidale completa il suo primo piano quinquennale riorganizzandosi come terzetto (con l’uscita, per motivi personali, di Marco Deplano) e dando alle stampe una nuova produzione.
Giunti ormai alla terza uscita, possiamo dire, con cognizione di causa, che non c’è nessun disco di Drieu uguale ad un altro, ma nemmeno ce n’è uno che non sia 100% Drieu: vi basta riascoltare La Dichiarazione – canzone-manifesto che apriva l’album d’esordio – per verificare quanto ognuno dei loro lavori tenga fede alle affermazioni lì contenute. Una coerenza e un rigore che ritroviamo in Rumorismo Nero (titolo che certamente dispiacerà all’ANPI), opera che si pone come sintesi e superamento dei predecessori dal punto di vista lirico e del suono.
A livello di testi, l’aristocratico esistenzialismo del primo capitolo si sporca della rabbia raccolta per strada e giunge alle inedite conclusioni di Tutto Questo Volere e della struggente Quando Credi: due brani riflessivi e crepuscolari, eppure totalmente pervasi dello spirito di Drieu.
Riguardo ai suoni, tornano le sonorità di matrice post-punk de La Distruzione, ma non va dispersa la furia hardcore di Solito Stile Ostile: il gran lavoro in studio (coproduce Eugene, che aiuta anche con tastiere e drum machine) fa sì che l’effettata eleganza wave finisca per sfociare tanto nelle sognanti melodie post-hardcore di Tutto Questo Volere quanto nelle cupezze industrial-rock di Finisce Tutto Qui, che parte come fossero i Godflesh e poi, fra clangori e voce filtrata, prosegue evocando i Disciplinatha. Questa attenzione verso l’aspetto formale non è una contraddizione per un gruppo che afferma di rifiutare “la tecnica musicale come elemento distintivo”, dato che il suono è un fattore di coesione essenziale in un disco che fa della molteplicità dei linguaggi la sua caratteristica: un’unità indispensabile perché la forza d’urto non si disperda e le file restino serrate.
Lo si capisce fin dal sorprendente pezzo d’apertura che dà il titolo all’album, un rap vecchia scuola (ma suonato con “strumenti veri”) che tocca un tale livello di rumore da costringerci a chiamare in causa i Public Enemy: anche il loro, in fondo, era rumorismo nero; il testo invece è puro esistenzialismo, ma filtrato dallo sguardo di un anti-eroe carpenteriano.
Più punk, anche se con un feeling decisamente anni ’80, la successiva Applausi Al Funerale, che da un lato paga pegno alla retorica del genere, dall’altro affonda il colpo prendendo di mira, con un sarcasmo feroce, il conformismo vigente. È questo un tema ricorrente, che torna anche in Finisce Tutto Qui, dove si incrocia con la visione della rassegnata decadenza che già era in Maledetto (Da Dio E Dagli Uomini) e Stato Canaglia, da Solito Stile Ostile. In tema di attacco al conformismo, tuttavia, la palma del pezzo più abrasivo va a Limonov, che perpetra il primigenio proposito di Drieu di fare il vuoto intorno a sé, creando raccapriccio fra i paladini delle buone cause dichiarandosi provocatoriamente (ma quanto, poi?) fasciocomunista e irridendo le fisime del bel mondo con l’esilarante coro ossimorico “Ja! Ja! Ja! Да! Да! Да!”. Ce ne fosse bisogno, batteria scarna, basso schiacciasassi e chitarra insinuante contribuiscono a rendere ancora più incisivo il messaggio.
Infine, non deve sorprendere, nell’opera di un progetto complesso come Drieu, la presenza dei due pezzi che, a livello di liriche e di stile, marcano una certa distanza dal resto: Tutto Questo Volere è un’amara riflessione sul vivere nel nostro tempo come l’avrebbe potuta fare il Battiato della prima metà degli anni ’80 – fosse stato un (post)punk – con una chitarra prima spigolosissima e poi insolitamente delicata nel supportare la parte più introspettiva del testo; ma è Quando Credi a chiudere i giochi in grande stile. Ritmi serratissimi in apertura e un finale toccante dove la voce, mai così melodica, canta parole che solo in apparenza trattano di disillusione (davvero qualcuno, qui, si era mai illuso?), sono invece l’ultima dichiarazione d’indipendenza prima di una conclusione inevitabilmente tragica. Non poteva esserci commiato più da Drieu – La Rochelle, intendo – di così.
Ancora più che nei lavori precedenti, c’è in Rumorismo Nero una tensione profonda che vibra tra i solchi del disco, una forza che si colloca al di fuori e al di sopra dell’individuo. Non prende ovviamene la forma di una tendenza spirituale, né può concretizzarsi nell’adesione a una causa salvifica, sia essa la rifondazione di una religione civile o il disperato recupero di una morale ormai perduta. È invece l’idea di un’etica individuale che trova senso non nella realizzazione di un obiettivo o di un’idea, ma unicamente in sé, nel contrapporsi, in uno scontro impari, al vuoto del presente. E anche questo, ne siamo certi, troverebbe l’approvazione di La Rochelle.