Strano a dirsi, ma mettendo insieme esponenti del miglior post-HC (Burning Defeat), dello storico HC italico (Crash Box), dell’oi! più duro (Erode) e dell’elettronica meno ascoltabile (Wertham) può capitare salti fuori un post punk elegantemente demodé, perfettamente calato nel ruolo di veicolo – non potrebbe essere altrimenti con una tale ragione sociale – della parola. Drieu, ispirato da grandi scrittori non allineati – quelli che, ad anni dalla scomparsa, tirano ancora matte le anime belle fautrici di un’arte e una cultura moralizzate – parla chiaro, motivando la propria posizioni di non solidarietà al presente. Non è tanto l’iniziale Dichiarazione, un po’ stucchevole, a dar senso e credibilità alle idee che animano il progetto, quanto l’intero percorso dell’album che passa per i furiosi paradossi di La Confessione, per una Presa Di Posizione che profuma di suicidio, per gli echi stirneriani di una poco accomodante Soluzione e per il crudo testamento di L’Estinzione, che prima dell’addio si toglie la soddisfazione di rovesciare tutti i valori comunemente accettati. È una via crucis che si chiude col sofferto noise-rock de La Distruzione – inevitabile punto d’arrivo benedetto da Céline e Dante Virgili – e lungo la quale la morte fa continuamente capolino, presenza utile, se non proprio a dar senso, quanto meno a circoscrivere e definire l’esistenza. Non così nichilista come potrebbe apparire a un primo ascolto, morale senza scadere nel moralismo (“parole vecchie, lo so, parole strane, lo so” recita L’Estinzione), Drieu è lontano dall’ormai abusata pratica del provocare e si pone piuttosto come erede dei Disciplinatha problematici di Nazioni nonché come compagno di strada dei Post Contemporary Corporation, dai quali mutua un certo gusto per la declamazione, declinata però in uno stile maggiormente musicale. Se mai La Distruzione dovesse raggiungere orecchie al di fuori del ristretto circolo di chi ne condivide lo spirito si attirerebbe certamente qualche malcelato sorrisetto di superiorità, questo Drieu lo sa. Ma sa anche, come l’uomo dal quale ha preso in prestito il nome, che “nulla si fa senza sangue. Bisogna morire incessantemente per rinascere incessantemente”.