Dish-Is-Nein, Occidente – A Funeral Party – 15/03/2025, Teatro Fabbri (Vignola – BO)

Che l’Occidente, da anni in crisi (non solo di valori), avrebbe prima o poi avuto bisogno di un rito funebre, lo si poteva immaginare. Che questo rito si tenesse proprio all’indomani dell’approvazione del grottesco piano di riarmo continentale e in concomitanza di un’altrettanto grottesca manifestazione per un’Europa più disunita e in confusione che mai, è cosa che può sorprendere solo chi non ha dimestichezza con certe doti profetiche a cui Disciplinatha prima e Dish-Is-Nein poi ci hanno abituato.
Così ci si trova, in questo sabato sera piovoso, in rigoroso abito scuro (che, immagino, molti dei presenti avrebbero adottato anche in circostanze normali), ad assistere a una cerimonia che, per puro caso, coincide con la presentazione del nuovo lavoro dei Dish-Is-Nein, intitolato proprio Occidente – A Funeral Party. Partecipano, a vario titolo, collaboratori vecchi e nuovi, presenziano fra il pubblico compagni di strada di lungo corso, affollano il teatro i sottoscrittori del crowdfunding: un crogiolo di personalità che rende impossibile incasellare in compartimenti prefissati le musiche e le idee che saranno protagoniste della serata.
Alle 21.15, con poco ritardo rispetto all’orario previsto, si abbassano le luci e Sergio Messina, in tenuta nera poco marziale, pronuncia il primo dispaccio: parole che remixano i testi dei Disciplinatha e, senza bisogno di troppe modifiche, li attualizzano, segno che la storia accelera e ritorna in cicli sempre più brevi. Si comincia: bruciato, in poche righe di presentazione, il minimo sindacale di autocelebrazione richiesto, è il Coro Monte Calisio ad occupare per primo il palco, all’insegna di quella mescolanza di linguaggi ed unità d’intenti che sarà il fil rouge (o noir…) della serata. Brani tradizionali (si parte con l’Ave Maria) e sorprendenti rivisitazioni, come nel caso di Geordie di Fabrizio De Andrè (che  reincontreremo…), per toccare l’apice con una toccante Montagna Amara, dedicata a Dario Parisini. Lo ammetto, dopo mezz’ora comincio un po’ ad accusare la disabitudine a queste sonorità, ma è già tempo di Io Resto Qui, Addio!, drammatica testimonianza della ritirata di Russia, che chiude la prima parte dello spettacolo.
Cinque minuti di pausa, dovuti probabilmente qualche problema tecnico, poi ancora Sergio Messina compare con un nuovo dispaccio: “benvenuti al nostro funerale”.
 Dish-is-Nein sul palco, ora: Roberta Vicinelli, col suo basso, occupa il lato sinistro, la batteria di Justin Bennet (Skinny Puppy, Pigface) è dalla parte opposta, mentre Cristiano Santini, inizialmente, compare solo in voce e in formato 3D sullo schermo che proietta i visual curati da Guido Ballatori: quando prenderà possesso del palco, abito total black e zazzera platino, lo dominerà con tutta la sua altezza, che farà apparire come dei nani tutti quelli che si avvicenderanno al suo fianco.
Ci sarà tempo – e sede più adatta – per valutare approfonditamente i nuovi brani: quel che ci arriva ora sono testi costruiti rubando e ricombinando gli slogan più a la page e vuoti del momento in parole pregne di disillusione, ma che man mano si fanno critica strutturata e – includendo spesso citazioni dei Disicplinatha – vanno a precisare il bersaglio; la parti vocali sono cadenzate, a volta al limite del rap, ma non disdegnano momenti di autentico lirismo.
Il suono, senza la chitarra dell’assente/presente Parisini, è meno tagliente e ha un feeling più elettronico e minimale, come preannunciato dal 12” The Metal Machine: onde sintetiche cavalcate dall’umano, attraverso le quali la forma si fa sostanza. È a tutti gli effetti una fase due del progetto, che non recide i legami col passato, ma che evolve lungo altre direttrici: una volta deciso che la missione doveva continuare non c’era alternativa.
In questa parte, che è il cuore dello spettacolo, sfilano i brani del nuovo disco, dalla già nota Stato Di Massima Allerta  a una cover di Lucy In The Sky With Diamond, che che viene rivista e contestualizzata con piglio laibachiano, fino al duetto con Renato Mercy Carpaneto degli Ianva per A Funeral Party. 
Poi ancora una pausa, durante la quale ci tiene compagnia il de André de La Domenica Delle Salme, mentre sullo schermo scorrono immagini di sessant’anni di guerre civili europee, da Belfast all’Ucraina; ed ecco di nuovo Sergio Messina, con l’ultimo dispaccio: “Abbiamo pazientato ottant’anni, ora basta!”. Tornano tutti sul palco, c’è anche il Coro e si aggiunge Federico Bologna, già Technogod, a rimpolpare il suono con le sue tastiere: La Chiave Della Libertà è interpretata con cadenze marziali che le giovano, L’Ultima Notte ha un tono luttuoso che si addice alla serata: i primi brani del repertorio hanno ormai lo status di classici. Un Mondo Nuovo è un tuffo al cuore, ma non c’è spazio per la nostalgia: è un pezzo che ci parla dell’oggi, così come, per altri versi, fa The Metal Machine, con le voci del Coro a contrastare l’incedere meccanico del brano.
Stefania D’Alterio degli Ianva duetta con Santini in una versione cybernetica di Eva e rimane anche per Crisi Di Valori; a questo punto inizio a coltivare la segreta speranza di una nuova versione di Nazioni, ma non accadrà; ci sono invece Toxin e Macht Frei che ci accompagnano verso la fine. Fine che, con Santini alla chitarra acustica, è appannaggio di New Dawn Fades, che era su Primigenia e alla quale viene cambiato la parte recitata del testo, con un’ultima dedica a Dario Parisini: non si poteva che chiudere così il concerto.
Ma in realtà, il momento finale di una serata del genere, non può non essere che quello dei ringraziamenti, che coinvolgono davvero un sacco di gente. Momento certamente doveroso, ma non è questo il punto: dall’ultima volta che i Dish-Is-Nein hanno calcato un palco sono passati cinque anni e, fa notare Santini, “è successa un sacco di roba in mezzo, tutta poco bella”; ecco, questo è un modo per guardarsi degli occhi, contarsi e, almeno per una sera, sentirsi meno isolati in un mondo alla deriva.

Foto di Marco Olivotto