Serata di gala all’Interzona per la presentazione del disco di Mic Bombatomica, idolo locale che accoglie nella sua band alcuni reduci di glorie veronesi quali Rituals ed Hell Demonio. Io però, non amando troppo i suoni proposti dal nostro, sono qui soprattutto per il gruppo che questa sera fa da valletto, quei De Curtis che, dall’uscita dell’ottimo esordio, non sono ancora riuscito a vedere dal vivo. Stavolta, memore della precedente esperienza, arrivo con ampio anticipo rispetto all’orario annunciato e mi preparo all’evento.
Metto le mani avanti: un gruppo che sale sul palco sulle note di Plastic Pattern People di Gil Scott-Heron, aspetta l’ultima nota e parte col primo brano, per me ha già vinto, anche se si trattasse dei Negramaro. Per i De Curtis questo è invece semplicemente un valore aggiunto, perchè iniziano alla loro maniera, con chitarroni post che sfociano in una pezzo da soundtrack Blaxploitation, col sax che ci guida lungo paesaggi urbani e lui ci al neon. In seguito veniamo investiti da schegge di funk bianco e punk primordiale, con le tastiere che innervano ossessivamente il suono, continuamente in bilico fra certa ruffianeria black e momenti incompromissori: da un gruppo che annovera reduci di Rosolina Mar e ancora Hell Demonio più altri proveniente dal giro funk jazz cittadino, non ci si può aspettare troppa omogeneità. Eppure anche dal vivo l’alchimia funziona ed ogni tassello trova la sua collocazione, guidandoci da un cambio di scenario musicale all’altro, ognuno sottolineato dai giochi di luci e proiezioni davvero suggestive. Picco del concerto una notevole esecuzione di Lugana Addio, accolta da un’ovazione che la qualifica già come classico, almeno a livello locale e che dimostra, semmai ce ne fosse bisogno, che la dimensione live è quella che si addice maggiormente al gruppo. Su Mic Bombatomica non mi dilungherò, per le ragioni esposte all’inizio. Devo dire, ad onor del vero, che passata l’ondata del tex-mex, che te lo faceva sentire ad ogni angolo di strada, ora un paio di brani ben fatti (e questi lo sono di sicuro) li sopporto pure: fra gli immancabili fiati tiomkiniani e accenni quasi punk, sembra di vedre un carrozzone di zingari che zigzaga sul confine fra Messico e Texas quando ancora lo si poteva fare senza essere impallinati dai federali. Ma la mia resistenza è comunque limitata, tanto più che la temperatura della sala, ormai stipatissima, se da un lato evoca il torrido deserto di Sonora ed è quindi in tono, dall’altro mi suggerisce di sgusciare verso l’esterno per trovare aria respirabile. Per stasera può bastare così.