Anche se la bella stagione stenta a manifestarsi, cominciano ad arrivare i primi dischi che ci portano profumi d’estate, che sanno di caldo torrido e Mediterraneo. Profumi forti, in questo caso, della terra di Sardegna. Nuhk è il lavoro d’esordio della cantante Dalila Kayros composto e arrangiato con l’aiuto di Antonio Zitarelli dei Mombu e masterizzato dall’onnipresente Gianluca Becuzzi e si propone da subito come una delle uscite migliori del 2013.
Due elementi compongono il lavoro: la voce, che urla, sussurra e intona in sardo melodie aspre e selvagge come la terra da cui proviene e un’elettronica scarna e sporca, scandita da pochi battiti, che ben si adatta ad accompagnarla. Sicuramente da collocare fra le musiche di ricerca per la sua attitudine improvvisativa e la lontananza da forme-canzone canoniche, Nuhk si caratterizza per la forza con cui sa proiettare nella contemporaneità una cultura millenaria, senza tradirla ma evitando allo stesso tempo di proporci un santino dei bei tempi andati. Quella che la Kayros propone è un’idea non nuova ma pur sempre rivoluzionaria della tradizione, vista non come qualcosa di statico, ma come continuum che di volta in volta si arricchisce di influssi esterni senza perdere la coscienza delle proprie radici profonde. Finora abbiamo parlato poco di musica, ma in effetti non è semplice trovare paragoni adatti: spiritualmente, mi vengono in mente gli Almamegretta che andavano a braccetto coi Massive Attack, combinando i suoni del Mediterraneo con le tendenze più à la page della musica internazionale. Qui, spostandoci su coordinate meno fruibili e più attuali, potremmo tirare in ballo le stregonerie vocali di Diamanda Galas che vanno a poggiare su basi elettroniche così scure da sfiorare talvolta l’industrial ritualistico. In un disco che viaggia su livelli davvero alti, annovernado i tribalismi primitivi di Hor Kar Vudru e Strix e le divagazioni quasi liriche di Arxia e Sardonios Ghelos, spicca il concentrato di femminilità di Hacab, che accosta la rabbia di una dea guerriera e la dolcezza della Grande Madre, mentre sullo sfondo pulsa una dubstep che viaggia al ritmo di un battito cardiaco. Siamo al cospetto di un lavoro eccellente e assolutamente personale, che potrebbe trovare estimatori anche al di fuori del limitato giro dell’avanguardia: lo meriterebbe.