Corecass – Tar (Moment of Collapse/Sacer, 2024)

Aspettavo da mesi il ritorno di Corecass, progetto della multistrumentista amburghese Elinor Lüdde dopo l’esordio VOID del 2020 ed una pletore di ep e remix vari. In questo album sembra di seguire Corecass attraverso un mondo, fra veli, schermi e scenari che potrebbe cadere, una volta rotto il velo di Maya che ne sostiene la volta.
La musica di Corecass parte dalla voce umana, femminile, voce che espressione di corpo e di ritmo, insime ad un pianoforte che ne rinforza la drammaticità ed un impianto pesante, che non ha paura di gonfiarsi costruendo amplificazioni fisiche, gnosiche e percettive. Tar è molto, moltissimo senza essere troppo, richiama gli spazi sacri come loro riceve in cambio silenzio e seguito incondizionato, in un viaggio attraverso il suono. Una tromba lacca una Dol che è raccoglimento e sofferenza, mentre con Disrupt entra il primo dei tre ospiti che ornano Tar. È Ercüment Kasalar, vocalist dei Moor dove Elinor funge da batterista. Qui doppia le sue parole mentre frasi pianistiche corrono veloci ed i cantati sembrano essere sprazzi nella nebbia, nel cielo le nubi si fanno sempre più scure, trasformandosi in suoni ferini e maligni. Esplosioni che vanno oltre la cattiveria, mantenendo una sorta di eleganza barocca. Con la sorella Barbara Lüdde in Sørunej sembra portarci a spasso fra le sirene, in un mondo fantastico, umido e lirico, prima di far cadere letteralmente le nostre difese con tasti cristallini. Poi CHVE, dagli AmenRa, che lascia Elinor a costruire ornamenti e crescendo strumentali in una maestosa Glijd Me, fra urla e canti che scardinano i confini fra bene e male, piacere e sofferenza.
Albedo è come dev’essere atto di pulizia e purificazione, spezzato da tuoni che sembrano polverizzare vetri e che preparano ad un cambiamento di stato, fra tensioni e misteri. La polpa sonora si intensifica a strati, portando Corecass dentro un nucleo compresso e complesso, che sembra risalire trasportano il proprio involucro attraverso un percorso fra scarti e disturbi. Giunti in cima la voce di Elinor ci arriva finalmente pulita, angelica, commovente. Ma non è finita, con una coltre distorta che cerca di coprire il pianoforte, pronto a riprendersi la scena alzando intensità e livello. Spesso i cambiamenti strumentali di Tar sembrano dovuti a veri e propri duelli, lotte intestine dalle quali la stessa artista sembra uscirne nuova, differente e maggiormente consapevole di quanto il suono possa raccontare e stravolgere. Fin è colei che ci consegna al silenzio, lasciandoci a bocca aperta per il viaggio fatto, bisognosi di riprenderci, insistere, sporcarci ancor di più in questo terreno, magnificamente coltivato da Elinor e compagnia cantante.