Claudio Parodi – The Mother Of All Feedback (Extreme, 2009)

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Terzo giro di boa per il ligure Claudio Parodi e terzo disco che mette in luce quanto si tratti del classico "best kept secret" di un panorama infame e ingrato come quello italiano e ancora più nello specifico ligure. Avevamo scoperto Parodi con un lavoro/installazione che riprendeva gli studi di Alvin Lucier, l’abbiamo rincontrato con una composizione per elettronica e doppio clarinetto turco che prendeva le mosse da Pauline Oliveiros e questa volta lo vediamo alle prese con la sua famigerata feedback-machine. Di cosa si tratterebbe? Senza andare troppo nel tecnico Parodi suona (e la suona per davvero anche se sfido chiunque a dire che non si tratti di un disco ostico) una sorta di equalizzatore mandato in feedback, collegato ad un mixer, un multi effetto e dei pedali del volume…l’effetto dello strumento? Diciamo che si tratta di un aggeggio che produce una serie di frequenze acute fra il morbido ed il fastidioso e che nonostante tutto non ricordano nessun artista o musicista in particolare. Vista la sua natura l’effetto globale del disco porta The Mother Of All Feedback vicino a certe cose fra le più sperimentali dei Pan Sonic, o allo splendido quanto ostico Aesthetics Of The Machine di Elio Martusciello oppure dalle parti di certi Ikeda o là dove solitamente osano i giapponesi più intellettualizzati, eppure il suono non è per nulla digitale e forse anche per merito della registrazione molto acustica di Paolo Valenti (dietro al banco anche per gli altri lavori di Parodi): il suono pur essendo molto "elettronico" è lontanissimo dall’effetto digitale che sarebbe lecito aspettarsi. Immagino che avrete capito che non si tratta di un lavoro per nulla iper-compresso, tutto molto fluido e le tre sezioni in cui è diviso il disco si aggirano attorno ad una durata media di venti minuti, a differenza delle tracce che spesso vanno dagli uno ai quattro minuti. Le sezioni del disco del disco pur avendo una matrice molto simile dovuta al tipo di strumento utilizzato risultano piuttosto diversi, infatti se la parte introduttiva A Room risulta tutto sommato più rarefatta e più tenue, nella seconda sezione Outside A Locked Door Parodi diventa più crudo oppure per contrasto gioca su parti ancora più dilatate. Parodi affida la chiusura del lavoro ad uno studio intitolato L’Assedio in cui sovrappone quattro improvvisazioni alla feedback-machine seguendo l’idea di un assedio medioevale, il risultato oltre che spettrale ed angusto crea un’atmosfera incredibile. Un lavoro per pochi, pochissimi, come al solito Parodi non và molto per il sottile: oltranzista, ostico, cupo e difficile, sprofonda sempre più dentro ad un territorio calcato da pochi; amato e odiato resta uno dei musicisti più interessanti tutt’ora in circolazione.