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Volcano! – Beautiful Seizure (Leaf / Wide, 2006)

 Giuro che non riesco ancora a capire come possano piacermi così tanto i Volcano! trio proveniente da Chicago (Aaron Smith voce e chitarra, Mark Cartwright basso, synth e laptop, Sam Scranton percussioni e batteria). Appena inseriti nello stereo avevano tutti i requisiti per farmeli andare in odio: la voce/lagna troppo simile a Thom Yorke, (per di più in questo caso morso da un cane con la rabbia) e brani free form del tipo “questo è art rock e me la tiro”.

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Slayer – Christ Illusion (Warner Bros / Wea, 2006)

Loro. Sono tornati e ancora una volta, fin dalla copertina, è evidente il tentativo di tornare ai torridi fasti di Reign In Blood. Il sound è acido, i riffs assassini, secchi, asciutti e senza alcuno degli scivoloni intimistico malinconici caratteristici degli anni novanta. Persino gli assoli sembrano meno senza senso che nello standard. Credo, comunque, che quando il sound di una band diventi un aggettivo, sia davvero difficile (ma non impossibile) incappare in imbarazzanti plagi di qualcos’altro. Eppure, nonostante questo, ammetto di preferire pezzi come Jihad alla furia cieca di Flesh Storm o Eyes Of The Insane, proprio per il tentativo di cambiare la costruzione delle canzoni dalla stessa forma che le ha rese tanto fedeli ai propri mentori.

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Celtic Frost – Monotheist (Century Media/Prowling Death, 2006)

Quante volte Thomas G. Warrior ci avrà rimuginato sopra negli ultimi dieci anni? Me lo sono spesso domandato. Molte volte mi sono chiesto a che pensasse, mentre se ne stava lì, a riascoltare quel capolavoro assoluto e insoluto di Into The Pandemonium. E soprattutto, quanta gente gli avrà sottolineato tutte le cazzate imbastite e malamente portate a termine dopo quel glorioso 1987? In tanti. Certamente in tanti. Contrariamente a quanto si dovrebbe credere però, in ambito musicale, spesso e volentieri, vengono offerte seconde, terze e addirittura quarte (sigh!) possibilità di redenzione. Quasi mai funzionano, questo lo sappiamo bene. Eppure nella testa dei musicisti e in particolar modo di quelli metal, c’è sempre il germe del “Ma non finisce qua”. Questa volta l’alchimia è riuscita.

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Artimus Pyle – Fucked from birth (Prank, 2006)

Era da tempo che non trovavo gruppi più duri di Zappa che “…è più duro di tuo marito", capaci di coinvolgermi e, in fin dei conti, col progredire della stempiatura ed i problemi di prostata era da mettere in conto che succedesse anche questo. Come se ciò non bastasse, cercare di darmi un tono intellettual-saccente tramite ascolti colti ed intrugli elettronici a volte non ha prodotto altro che l'allungamento dello scroto ed un notevole abbassamento della vista. Giuro: ho cercato nell'immondizia, ma ho faticato a trovare qualcosa che mi aiutasse…E quando ormai stavo per darmi per vinto gli Artimus Pyle hanno dato ragione a tutto quell’annaspare in mezzo al letame.

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