Nel primo vero giorno freddo della stagione va in scena al Kroen una serata all'insegna del folk, proposto in diverse versioni a seconda che gli artisti si differenzino per origine, formazione e assetto strumentale. Un po' di musica che scaldi il cuore, magari malinconica, è perfetta per una stagione che oramai volge velocemente all'inverno e con la sala concerti che comincia ad essere fresca, anche se stasera il calore umano dei numerosi presenti è più che sufficiente per mantenere la temperatura. Vincenzo Fasano è l'eccezione che conferma la regola: folk più per abitudine a considerare tale chi si presenta sul palco con la sola chitarra e i testi ben scritti, possiede la ruvidità del rock inglese, quasi wave, mentre la voce, che varia su più registri, dà pochi punti di riferimento. Se proprio ha da farsi un nome è, almeno come spirito, quello del Bennato degli esordi, legato a doppio filo al rock'n'roll e alla tradizione cantautoriale, anche se qui l'accento è nettamente più drammatico, specie per i pezzi di recente composizione, Sangue su tutti.
Si attraversa l'oceano e il continente americano fino alla costa ovest e su palco troviamo l'ex Tarentel Trevor Montogomery, nelle vesti di Lazarus: senza le bende del personaggio neotestamentario, si presenta invece con una consunta maglietta dei Lakers, sormontata da una faccia di fissità invero quasi cadaverica e un espressione, oltre che un'altezza, che richiama il maggiordomo Lurch, di Addamsiana memoria. In realtà, nonostante il sembiante allegro come una poesia di Leopardi, il tipo è di buon umore (ringrazierà più volte per la bella serata) e decisamente in palla e ci accoglie giocando con chitarra e laptop in un folk dilatato e psichedelico che richiama il primo Harvestman. La tradizione, quella cantautoriale statunitense, qui è più presente, ma emerge a fatica fra bordoni di chitarra e sequenze reiterate, su cui il nostro interviene in diretta con arpeggi e voce. Alexander Tucker è una buona pietra di paragone, ma qui la matrice psych-folk californiana è preponderante e di assoluto effetto: pochi tocchi di batteria (che compare solo per tre pezzi a metà concerto), loop ipnotici a cui bisogna sapersi abbandonare per poter venire attraversati dal suono. Freakedelia nient'affatto facile e per nulla pelosetta, un'esperienza live intensissima.
Per l'esibizione dei Cassanets il nostro si porta al basso, il suo estemporaneo batterista alla chitarra e lasciano il centro del palco all'hobbit Raymond Raposa, piedi scalzi e camicia di flanella; una batterista e una corista, che occasionalmente imbraccia una chitarra, completano la formazione. Con loro la serata torna nel solco del folk più tradizionale, anche se non mancherà qualche sorpresa. Il punto di partenza è il Neil Young più tranquillo, che fa da campo base per esplorare le varie derive di questo suono. Così capita accentuino il rumore fino a sfiorare i dominii degli Earth o, più di frequente, dilatino il suono in liquidi blues notturni, dove la slide la fa da padrona. Il trasporto è inferiore a quello di Lazarus, o quanto meno di natura diversa, percorrendo qui sentieri più consueti. Ma in un cascinale in mezzo alla campagna, com'è il Kroen, è quanto di più adatto ci possa essere e ci si fa cullare di buon grado: l'inverno sarà lungo e un po' di calore delle radici fa certamente bene.
Foto di Elena Prati