La magia è la presunta capacità di dominare le forze della natura mediante il ricorso ad arti occulte. Nel disco di Carlotta Sillano questa magia diventa un’atmosfera limbica che contiene come uno scrigno dieci brani dove la lingua italiana si attorciglia su un suono che flirta con l’oscurità gotica e l’idea di un tempo passato, fiabesco e tetro.
La voce di Carlotta è il faro, la luce che si fa strada in un dedalo di Wunderkammer, giardini segreti ed archeologie.
A tratti risplende di un’aulica anima anni ‘80, come una Lineare A che riesce, nonostante il suo tortuoso mondo, a risuonare come un classico che sarà spendibile e splendente anche fra decenni.
A tratti fra le righe di questo disco passano le visionarie, non come ispirazioni bensì come flash e ricordi.
Diana Est, Romina Salvadori, Mara Redeghieri e Mògano non sono presenti ma aleggiano nell’aria mentre sfogliamo le pagine di un libro antico, prezioso e pericoloso. Ascoltando i brani de Nella natura morta dei simboli appassiti si ha l’impressione di un mondo dove il sacro, il magico ed il soprannaturale siamo ingredienti dosati con leggerezza in arie pop orchestrali senza che svenevolezze e glicemia siano invitate al banchetto. Il Monumento ed il cuore, la spiaggia cristallina, immagini che si iniettano in un mondo, quasi che Carlotta si muova come un’alchimista che inietti nuovi ingredienti alla mistura.
Carlotta Sillano non è una novellina, con il suo precedente progetto ha avuto occasione di vincere premi importanti e di collaborare con personalità di spicco e gran gusto. Ma, spero mi perdonerà, non vorrei citare nessun altro in questa recensione, lasciando i giusti spazi ai suoi rintocchi, alle sue immagini ed alla sua musica, coordinata eccezionalmente da Taketo Gohara.
Voi cercatela, scovatela e sorbitela privatamente, per poi farne dono a chi vi vuole bene, così, per ricambiare.
Carlotta Sillano – Nella natura vuota dei simboli appassiti (Incipit/Egea)
