Carla Bozulich – 8/12/12 Lenz Teatro (Parma)

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Carla Bozulich dal vivo a Parma, nell’ambito del festival Natura Dèi Teatri organizzata dal Lenz, è un’occasione da non perdere, tanto più che il comunicato stampa parla dell’esecuzione di “materiale inedito (in anteprima) scritto per il suo prossimo disco in uscita su Constellation”. Vale insomma la pena sfidare il freddo tagliente e la neve caduta il giorno prima, per esserci. Il Lenz Teatro è sito in un vecchio complesso produttivo degli anni ’30 a poca distanza dalla stazione, un’area post-industriale recuperata e destinata agli usi più vari. Mentre nello spazio espositivo al piano terra un gruppo wave scalda l’atmosfera, io vado a cercare un tepore più fisico al primo piano del capannone in cui si svolgerà il concerto.
Il posto è notevole: un ingresso squadrato, geometrico, impeccabile nel suo candore diffuso, immette nella sala Majakovskij, perfettamente allestita con palco, impianto luci e mixer, ma che conserva ancora le pareti scrostate, i tiranti d’acciaio e il tetto in legno e laterizi che la caratterizzavano quando era un luogo di lavoro; una scelta felice, che conferisce all’ambiente un senso di calore e di continuità storica. Anche l’acustica è particolare: il soffitto alto genera un leggero riverbero, magari poco ortodosso, ma adatto alla proposta di stasera che, senza mezze misure, passerà da un intimo minimalismo a canzoni che sfiorano il bozulich_PR_1rumore; nel primo caso l’effetto naturale arricchirà la musica, nel secondo sarà ininfluente. Alle spalle del mixer, un tendone nero limita lo spazio, creando una dimensione più raccolta, col pubblico che si accomoda in parte su una fila di seggiole sul fondo, in parte accovacciato sul pavimento: si parlotta un po’ in attesa dell’inizio, ma, al risuonare delle prime note, calerà un silenzio come poche volte mi è capitato di sentire. Sono da poco passate le undici quando Carla Bozulich, gonna a pieghe marrone, camicia arancio e cravattino a pois, sale sul palco, seguita dalla figura altissima di John JHNO Eichenseer, che si posiziona dietro al trespolo da cui gestirà molti dei suoni d’accompagnamento. I due imbracciano i rispettivi strumenti, viola lui e chitarra lei, e passano, senza soluzione di continuità, dalle operazioni di accordatura all’intro malinconica di una Blue Room che l’esecuzione live rende anche più toccante di quella di Hello, Voyager. Siamo già a pieno regime: i due sono affiatati e non necessitano di riscaldamento, concedendosi al massimo uno sguardo per stabilire i tempi di alcune entrate. Nelle pause la Bozulich, un po’ timidamente, cerca il contatto col pubblico con qualche battuta: è un intesa che sarà presto raggiunta, favorita dalla poesia di un’inedita Stop Killing Tonight e di una Artificial Lamb che alza di un po’ i toni. Si può allora provare a cambiare registro e osare un altro pezzo nuovo, che coni battiti marziali, suoni cupi e voce salmodiante, potrebbe provenire dal repertorio dei primi Swans: alla fine, l’applauso convinto è segno che artisti e pubblico viaggiano ormai sulla stessa lunghezza d’onda e per il resto della serata avremo a che fare con una Bozulich di ottimo umore, sorridente e loquace. Ammetto che, inizialmente, l’idea di un concerto in duo mi spaventava, in particolare temevo un eccessivo minimalismo. Stasera invce tutto funziona: gli arrangiamenti sono azzeccati, il repertorio vario e se le doti della cantante newyorkese non sono una sorpresa, ottima impressione desta il lavoro Eichenseer, che fra viola, synth e timpano dà un apporto essenziale, nella doppia accezione di indispensabile e poco invadente. Tutto questo per dire che l’ora di concerto vola in un attimo (salvo bozulich_PR_2un passaggio centrale piuttosto cupo), magari non tutta sui livelli altissimi dell’inizio, ma riservando almeno altre due perle: una Outside The Town meno carica ma non meno drammatica dell’originale e una Space Helmet, anche questa credo inedita, da pelle d’oca, cadenze da noise newyorkese e una carla Bozulich saltellante (!) che sfodera un’interpretazione vocale degna di una Shirley Temple dei tempi ultimi. L’album nuovo, a quanto pare, sarà piuttosto scuro. Si chiude, così sembra, col lirismo di Time Square di Marianne Faithfull, ma che la nostra ha ormai fatto sua. Saluti, baci, una breve assenza ed è tempo del bis. In onore dell’affiatamento creatosi, viene chiesto al pubblico se preferisca un brano più o meno noise: la prima proposta ottiene un plebiscito e i due prendono la cosa fin troppo alla lettera, con un lungo brano di ambient sporco su cui la cantante, dopo aver abbandonato la chitarra, recita un blues sofferto, aggirandosi per il palco e fra il pubblico. Un finale piuttosto scuro e ostico per un concerto che ci aveva trasportato con una certa verve, ma che non cambia il giudizio su una serata davvero riuscita. Si esce con l’impressione di aver condiviso qualcosa di davvero prezioso. E anche il freddo mi sembra meno intenso.