Bunuel – Mansuetude (Skin Graft/Overdrive, 2024)

I Buñuel sono un supergruppo formato da Eugene S. Robinson, Xabier Iriondo, Andrea Lombardini e Franz Valente.
Mansuetude è il loro quarto disco, il che li fa ormai ritenere un progetto più che continuo e serio. Questi sono elementi non così scontati per un gruppo fatto di superstar dell’alternative nostrano e americano.
Il disco è registrato benissimo, prodotto ancora meglio e suonato divinamente. Non ci sono dubbi sul fatto che l’impegno, la serietà e la professionalità dei musicisti coinvolti abbiano giocato un ruolo fondamentale nella creazione del disco. “Ci mancherebbe!” verrebbe da dire visti i nomi coinvolti.
Oltre ai quattro componenti ufficiali della band, alcuni brani ospitano importanti figure del panorama musicale mondiale: Duane Denison, Jacob Bannon e Megan Osztrosits.

La musica suonata è un poderoso rock alternativo, condito di noise e derivati. A spiccare, in maniera muscolare e intransigente, sono l’atteggiamento e la voce di Robinson, vera e propria stella della formazione. Non me ne vogliano gli altri musicisti, ma il suo apporto al progetto è l’elemento realmente distintivo e, credo, sia valorizzato a dovere.
Il comparto strumentale dalla sua fa un lavoro egregio, potendo contare su professionisti di primissimo livello. Il lavoro più debordante è quello di Franz Valente.
L’album propone tredici brani, di cui almeno due o tre sono di troppo. Questo non pregiudica una qualità complessiva molto alta. Purtroppo episodi come “Movement No. 201” sarebbe potuti durare un minuto, come non esserci perché in oltre cinque minuti, invitano solo l’ascoltatore a passare oltre. Un’altra canzone rivedibile è “A Killing On The Beach”: poco incisiva e molto dispersiva. Infine, “Leather Bar” poteva, semplicemente, non esistere.

Il meglio del disco è quando si inizia a correre: “High. Speed. Chase” è una cannonata. Forse, gli episodi meno convincenti aiutano a farla emergere, ma c’è da riconoscerne un notevolissimo tiro punk. Sarà per la linearità del pezzo, rispetto a molti altri, ma il risultato è senz’altro sublime. Della stessa pasta è “American Steel”: feroce, abrasiva, metallica.
Il meglio disco, però, arriva con il trittico finale: violenza e pesantezza, si mescolano ad angoscia e paranoia in una sintesi tanto ansiogena, quanto efficace.
Attenzione! Ancora non abbiamo esplorato l’inizio del disco tutto ritmo e viUUULlenza! Qui a spiccare sono in particolare “Drug Burn” e “Class”, in cui la follia creativa di Robinson segna il passo di ciò che saranno i pezzi a venire.

Mansuetude è un disco bello, maturo, consapevole. Spero in una resta live altrettanto granitica, poiché è in quell’ambito che un progetto così dovrebbe trovare lo spazio necessario all’espressione massima di messaggi così debordanti su disco.