Bosco Sacro – Live At Chiesa Armena (Go Down, 2025)

Per ascoltare questa registrazione dal vivo credo sia meglio chiudere gli occhi e dimenticare quanto inciso in Gem, esordio del quartetto Bosco Sacro, qui impegnato in una chiesa armena presso una villa del seicento nel nord-est italiano, al termine di una residenza artistica di tre giorni organizzata dalla di loro etichetta, Go Down Records.
Ad uscirne è un vociare torbido e discontinuo, Giulia Parin Zecchin sugli scudi ad introdurre le pelli che battono, percuotono creando la spina dorsale di un brano, the Future Past, che si sviluppa lisergico e potente pur non cercando l’impatto preferendogli un’atmosfera magica ed oscura. Con Dong Dee si va in un’oriente immaginario ed il bello è che questi primi brani in scaletta (anche Undertow è ancora inedito) non fanno parte dell’esordio Gem ma ci mostrano quale potrebbe essere la direzione del quartetto, ondeggiando fra dolcezza, intensità e colore. Su Ice Was Pure si torna al repertorio classico e l’impressione è quella di ascoltare il movimento di Giulia, di sentirla vorticare, girare come fosse una condottiera karateka supportata dal soffio sonoro della band. Poi un’idea rock, un’intensità che potrebbe farsi avvolgente e carnale, quasi uno sprazzo di luce che inondi la vocalist ed il suono, in una sobria ed intensa performance che porta l’aria di un’oriente compresso in una chiesa italiana ed è Fountain Of Wealth. Be Dust invece è una torch song dove I Bosco Sacro riescono nonostante la miriade di paralleli possibili a resistere in piedi con personale intensità lasciando che il brano si dilati e prenda con sé pubblico, corpi e menti. Non avendo mai avuto occasione di vedere i quattro musicisti esibirsi insieme dal vivo mi è difficile immaginare che tipo di intensità passi fra loro ed il pubblico (seduto? In piedi? Folto i pochi addetti al lavoro per la registrazione del disco?) ma è certo è che questo sia uno splendido disco live e che ancora una volta l’Italia sia parte di questa usanza (negli ultimi anni Lili Refrain e Putan Club immancabili e sono pronto ad iniziare l’accoppiata Ruinszu appena terminato questo disco), segno che c’è un’attenzione alla resa ed all’ambiente di quello che può essere a tutti gli effetti una performance che unisce, tocca e spande energia che rimane in qualche modo intrappolata in questi solchi digitali. Ed è bellissimo sentire come il suono cambi, si faccia cosmico ed onirico trascendendo in bolle come nella parte conclusiva di Emerald Blood, magica da lasciare esterrefatti. Con Les Arbres Rampants si rientra sulla terra, la sensazione è quella di un angelo che ci riporti a casa e che questo gli costi fatica ma non possa farne a meno. Ci si piega, ritrovando il terreno spinti dal suono terreo nonostante la voce sia lanciata ancora una volta nell’infinito, verso movimenti e moti sconosciuti. bosco Sacro termina con il proprio brano autografo e si rimane a pensare al sacro: qualcosa da riverire, spesso legato all’idea di divinità, che potremmo considerare come presenza superiore e non facilmente decrittabile.
Bello poterlo osannare in questo caso godendosi i suoi frutti.