Borghesia – Un Chant D’Amour (Final Muzik, 2022)

Al tempo in cui i Borghesia nacquero, Lubiana, allora in Jugoslavia, era una terra di mezzo fra l’Occidente e il blocco sovietico, in qualche modo aliena – non senza tensioni – alle logiche di entrambe le parti: attraversata da fremiti libertari ad ogni livello, fu sede della prima organizzazione gay dell’Europa dell’est e del primo festival di cinema omosessuale del continente. Questa alterità è chiaramente percepibile nel percorso discografico del duo formato da Dario Seraval e Aldo Ivančič, che parte da un synth pop di matrice europea per approdare a sonorità prossimi ai dancefloor più scuri e industriali, alla maniera di chi, come dicevano i CCCP, all’effimero occidentale preferisce il duraturo; alla plastica l’acciaio. L’Ovest rimaneva certamente un riferimento, ma l’Ovest meno presentabile e più disturbante; lo testimonia questo Un Chant D’Amour, nastro registrato nel 1986 come sonorizzazione del cortometraggio muto diretto da Jean Genet nel 1950 e prontamente vietato nel “mondo libero”. Una storia di omosessualità sensuale, romantica e visivamente ai confini con la pornografia, ambientata nel chiuso di un carcere ma con frequenti sequenze oniriche, uniche, amare possibilità di fuga dall’oppressione rappresentata da un secondino guardone e violento. I Borghesia costruiscono un accompagnamento che ha i toni di un’industrial cupo e cacofonico sezionato da ritmiche con cadenze più di marcia che non di danza, anche se il suono prefigura, a tratti, la transizione verso l’EBM, che il duo completerà da qui a poco. La durata del disco, quasi 40 minuti divisi in sette sezioni, sopravanza la lunghezza del corto, che supera di poco i 25, servono quindi un po’ di aggiustamenti e di spirito interpretativo per sincronizzare musica e immagini, ma alla fine il risultato è notevole e, nelle parti più riuscite, la musica, oltre a commentare, evidenzia con la forza dei toni drammatici i sottotesti presenti (l’oppressione, il controllo, la violenza). È quindi doppio il merito di questa curata stampa da parte della Final Muzik: da un lato illumina un fondamentale momento di passaggio nella carriera del gruppo, dall’altro ci mostra uno spaccato di oltre trent’anni di cultura underground europea a 360 gradi, incuneandosi nel presente con la forza, ancora urticante, della sua doppia natura visiva e musicale.