Blood Axis + Rosa Rubea + Roma Amor – 23/06/2013 The Theatre (Rozzano – MI)

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Era evento assai atteso la calata degli americani Blood Axis, illustri portabandiera del folk pagano e capitanati da quel Michael Moynhyan che rappresenta una delle figure più coerenti e delle menti più lucide della cultura apocalittica degli ultimi vent’anni. Ci era quindi impossibile mancare a una delle due date italiane e per ovvie ragioni di distanza, si opta quella milanese a scapito di quella romana, dove di spalla si esibivano Ain Soph e Malato.
Il Theatre, a dispetto del nome altisonante, è un locale sito in un’anonima zona artigianale della cintura milanese: certo è un’ambientazione assai meno suggestiva del bellissimo Palazzo Granaio dove alcuni mesi fa assistemmo all’esibizione di Der Blutharsch, ma il luogo è ben allestito, con un palco accogliente, un’amplificazione consona e una distribuzione dello spazio che rende visibili le band da ogni angolazione. Fra il pubblico che all’ora stabilita attende di accedere al the_theatre_Roma_Amorlocale (cosa che avverrà solo dopo un completo giro d’orologio…) prevalgono i toni scuri, con abiti da Morticia sexy fra le femmine e più varietà fra i maschi: si va da look da pseudo Marilyn Manson a completi paramilitari, fino a un sorprendente clone dark di Oscar Giannino; nessun reduce dalla Notte dei Lunghi Coltelli, stavolta. Quando finalmente vengono aperte le porte, la serata ha inizio col duo Roma Amor, voce femminile che si accompagna con la chitarra, affianca da uno strumentista, ora alla fisarmonica, ora al piano. Le loro sono esili ballate mitteleuropee gradevoli ma che faticano a reggere alla distanza: una certa ripetitività fa sì che l’attenzione cali via via che l’esibizione si avvia verso la conclusione. C’è spazio per bere qualcosa e curiosare fra i banchetti dei dischi prima dell’inizio dei Rosa Rubea, gruppo che ha come vocalista Daniela Bedeski della Camerata Mediolanense: l’allestimento del palco è piuttosto laborioso e la comparsa di un set tipicamente rock, con batteria, tastiere e chitarra fa temere un concerto orientato verso quel genere, che onestamente sarebbe fuori tono con la serata. Ogni timore è fugato subito, grazie a un inizio pervaso di un’atmosfera sacrale che non si dissolverà per tutto il concerto: un brano strumentale fa da colonna sonora all’accensione di un imponente candelabro da parte della cantate, avvolta in un lungo abito scuro e col viso the_theatre_Rosa_Rubeacelato da una maschera barocca. Sarà proprio lei, con la sua voce versatile, la mattatrice dell’esibizione, spaziando fra toni lirici, melodie che possono richiamare la tradizione irlandese, accenti più marcatamente dark-wave, sempre assecondata da strumentisti impeccabili, che non eccedono nemmeno nei momenti di maggior enfasi. Un concerto trascinante e una sorpresa graditissima, che fa volare il tempo che ci separa dall’esibizione degli headliner della serata. Michael Moynihan e la sua bella moglie Annabel Lee si erano aggirati per tutto il tempo a colloquiare col pubblico: è finalmente il momento di vederli sul palco. A loro, oltre all’immancabile Robert Ferbache alla chitarra, si affiancano Aaron Garland al basso (e maglietta degli Ain Soph) e una doppia sezione di percussioni affidata a Frederic Arbour  e a quel John Murphy che già avevamo visto accompagnare Douglas P. nel recente tour dei Death In June. Il prologo recitato del classico The March Of Brian Boru ci introduce nel mondo dei Blood Axis: Mohynian al centro della scena, camicia nera e un piedi spesso appoggiato sulla spia al limitare del palco, canta accompagnandosi talvolta con un tamburo, alla sua sinistra il violino della Lee, dal lato opposto gli altri strumenti a corde. La scaletta è di grande livello e privilegia i brani del capolavoro Born Again insieme ad alcuni ripescaggi dal passato, lasciando però poco spazio a Gospel Of Inhumanity, di cui vengono eseguito solo Eternal Soul e Reign I Forever. Purtroppo l’impasto sonoro che esce dagli amplificatori non è dei migliori e penalizza the_theatre_blood_axisfrequentemente il violino in favore degli strumenti elettrici, ma ancora più gravi sono le difficoltà che devono avere i musicisti sul palco, per alcuni problemi ai volumi delle spie. Alcuni pezzi non ne risentono troppo, altri, quelli dove l’intreccio vocale è fondamentale, ne escono totalmente deturpati: è il caso di uno dei brani migliori dell’ultimo album, The Path, alla fine del quale gli applausi, più che di apprezzamento, appaiono di incoraggiamento ai musicisti, che per tutto il tempo hanno dovuto guardarsi per stabilire i tempi d’entrata. In altri momenti le cose funzionano meglio, lo testimoniano una Life enfatica ed orgogliosa o una The Ride marziale: la sezione ritmica così potenziata fa la sua parte, enfatizzando il lato ritualistico dei brani, che talvolta sfoggiano accenti quasi tribale. Eppure si ha la sensazioni che manchi qualcosa, o quanto meno, che tutto potrebbe essere di un livello ben superiore, cosa che dall’esibizione di una band del genere sarebbe lecito attendersi. Il pubblico stesso è caldo, ma non numerosissimo e l’atmosfera manca di quella sacralità e comunione che ci saremmo attesi. Non che ci siano responsabilità o carenze particolari, ma probabilmente, tutte queste piccole cose, contribuiscono alla non riuscita dell’incantesimo. Scorrono, ruvide e piacevoli ma senza picchi, Wulf And Eadwacer, The Hangman And The Papist, Born Again, Song Of The Comrade: tutto rimane in potenza. Così, dopo una breve discesa dal palco, i Blood Axis ci salutano con una Walked In Line rabbiosamente punk, che dice molto sullo svolgimento di una serata a cui era comunque giusto presenziare; la prossima volta si avrà maggior fortuna.

Fotografie di Ave Imago