Black Elk – Always A Six Never A Nine (Crucial Blast, 2008)

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Esterefatto. Credo che lo stupore totale sia quanto di più vero riesca a manifestare di fronte ad un disco così. Ai tempi di The Temple Of The Morning Star dei Today is The Day credetti che se Steve Austin fosse stato un uomo di maggior spirito anzichè solo virtù e stomaco forse sarebbe diventato realmente il Jim O' Rourke dell'apocalisse piuttosto che restare nella propria isola (felice) di ghiaia e granate esplose. I Black Elk di Portland invece saltano il fosso, lo fanno perché sono lungimiranti, intelligenti, carichi di mercurio, un pugno di psicopatici dal quoziente intellettivo nettamente sopra la media. Ripartono dalla Amphetamine Reptile del ‘92, aggiungono un pizzico di Crust (Crusty Love), i mai dimenticati Karp, la follia suicida di David Yow e la fede cieca in Mishima. Iperbole?! Ellissi?! Cataclismi?! No, I Black Elk semplicemente fanno una cosa che supponevo impensabile ed improponibile: aggiornano le schegge metalliche della scorsa decade, scontornandole della forza meramente abrasiva e immergendole in un barattolo di zucchero che poi ci mollano su di un tavolo imbandito per la colazione. Always A Six Never A Nine è un disco disperato, lancinante, un dente che duole terribilmernte, ma di cui non possiamo privarci. Dolore ed estasi: odiosi gemelli siamesi che vorrebbero separarsi a morsi. Fate ciò che volete, ma non rinunciate a questa carie.