Bertoni/Boccardi/Mongardi – Litio (Boring Machines, 2016)

È interessante leggere il percorso di Alberto Boccardi dagli esordi in solitaria fino ai più collaborativi progetti odierni, soprattutto perché il risultato difficilmente coincide con ciò che ci si aspetterebbe sulla carta. Prendete Litio: nasce dall’esperienza che il nostro ha con Antonio Bertoni (Tongs, Pequod) e Paolo Mongardi (Zeus, Fulkanelli, Fuzz Orchestra) durante il tour di Fingers, che già aveva ospitato i due in fase di registrazione. L’affiatamento era stato notevole e la conseguenza è stata un doveroso allargamento della ragione sociale e una riduzione dell’organico, dalla pletora di collaboratori di quell’album allo scarno terzetto pseudo-rock per batteria, contrabbasso ed elettronica di questo. In realtà siamo piuttosto distanti dalle sonorità di Fingers così come da ogni altra uscita della pur eclettica Boring Machines trattandosi di un disco dove l’improvvisazione ha un ruolo di primo piano ed è accostabile alle uscire di Setola Di Maiale meno orientate al jazz (Massa Sonora Concentrata, il duo Santini/Sanna). Se lo catalogassimo sotto qualche filiazione dell’ambient nessuno avrebbe di che scandalizzarsi, ma certo la filosofia che sottintende al progetto è ben diversa: la definizione regge solo se la si interpreta quasi etimologicamente come musica che costruisce ambienti. Appurato questo devo ammettere che spiegare come suoni Litio non è impresa semplice; sicuramente non come la somma delle sue parti. Mongardi è il motore, in senso proprio e figurato, tanto che laddove le percussioni non sono così in evidenza troviamo il brano meno memorabile del lotto (Red Stone Floating). Bertoni è la sorpresa, usa il contrabbasso in modo spesso poco convenzionale e compie un lavoro di cucitura oscuro ed essenziale alla riuscita del disco. Boccardi è il fantasista, può piazzarti un ritmo sintetico o una texture ambientale, una melodia come un suono poco addomesticato. I tre giocano a memoria e nessuno dei brani – tutti piuttosto fisici e diretti – vi darà punti di riferimento, dalla quiete prima della tempesta evocata dai soundscape carichi di elettricità di Vento Solare, che sul finale diventa un dub straniante, ai miraggi trance indotti dai dalle percussioni telluriche e dai bordoni infiniti di Chimera. La citata Red Stone Floating marca una pausa con un ambient sottilmente ritmico e sporco, ma l’energia è conservata per dar linfa a Reconfigure Matter_Energy_Space_Time (titolo che ben si addice a descrivere l’intero lavoro) dove umano e sintetico si avvinghiano in complicati intrecci ritmici che dando vita a una techno di nervi e muscoli che finisce, dopo un breve intermezzo di quiete, in un cupo amplesso noise che trova pace solo nella fine. Forse Litio vi richiederà qualche ascolto perché possiate apprezzarlo nella sua totalità, ma ne varrà la pena e quando lo avrete compreso pienamente capirete che è solo l’inizio: questo è materiale che dal vivo promette di essere una bomba.