Bastion – S/T (Interregnum, 2009)

Non ce li saremmo mai aspettati così scuri, l’emiliano Yukka Reverberi e il tarantino Valerio Cosi; ma la particolarità dell’incontro, così come il terreno su cui si svolge, un CD edito dalla norvegese Interregnum, deve aver evidenziato gli aspetti più reconditi della personalità artistica dei due, per concentrarli in quaranta minuti di musica, racchiusa in un bel digipack ruvido, dalla grafica informale (intesa come corrente artistica).
Soli a maneggiare un armamentario fatto di sintetizzatori, elettronica varia, sax, voci e (poche) chitarre, Bastion lavora in zone dove l’industrial e l’ambient più sporco collidono, partorendo una musica apparentemente statica, che pare avere davvero poco di umano e tendere invece all’ultraterreno, nell’accezione più orrorifica del termine. La lenta vibrazione noise di Ohm, che va man mano addensandosi per poi svanire improvvisamente, ci porta in prossimità dell’isolazionismo caro al Lull più inquietante ed è il miglior preludio possibile alla successiva 69, Blau Und Werss. Qui si sconfina nell’industrial scandinavo, Brighter Death Now e dintorni, frequenze discontinue generate da macchinari lamentosi, a cui si avvinghia qualche timida melodia chitarristica, battiti funerei, clangori metallici, come un black metal filtrato attraverso le macchine: (unholy) ghost in the macchine. Poi l’album svolta (e non poteva essere altrimenti, se non si volevano tamponare gli MZ 412) e in Dancing Bones, un sax free prova a vivificare il corpo del noise, sovrapponendosi al faticoso procedere delle frequenze disturbate; ma l’elettronica reagisce e tenta nuovamente di prevalere: lo scontro, un efferata escalation, porta all’apice di rumore dell’intero album, prima che i suoni, sfiniti, svaporino. Sembra davvero che tutto sia stato dato, perché la conclusiva Red Star è una sinfonia rarefatta dove il sintetizzatore dipinge un ambient pacificato e quasi chiesastico, che riecheggia i Popol Vuh a spasso nei giardini del faraone. Ma non può esserci lieto fine: una voce ubriaca ritrascina il rumore sulla scena e sono allora il caos egli strumenti impazziti ad accompagnarci all’uscita.
Nulla di nuovissimo sotto il sole, ovvio, ma si tratta di musica molto ben fatta e col valore aggiunto, ripeto, di trovare questi due a cimentarsi con una materia per loro così inusuale. Non vi innamorereste di Rihanna (musicalmente, intendo…), se pubblicasse un album alla Minor Threat?