Continua il gioco di parole nei titoli dei dischi dei Bachi Da Pietra, che al quinto appuntamento si presentano con un nome “pesante” come Quintale e con una svolta musicale che ha lasciato sorpreso qualche estimatore storico della band, ha interessato un pubblico che prima non li conosceva in profondità (grazie anche alla scelta dell’etichetta La Tempesta) ma alla fine ha messo d’accordo praticamente tutti. Dal blues primordiale, intimo, sotterraneo, sussurrato e con un odore sulfureo molto vicino ad un certo Tom Waits a cui eravamo ormai abituati, in Quintale si passa ad un blues che la fa sempre da pardone, ma questa volta è energico, roccheggiante e ad alto volume anche se mai sopra le righe: la batteria secca e primitiva di Bruno Dorella supporta al meglio Giovanni Succi, vero deus ex machina dei Bachi Da Pietra, che questa volta si cimenta con la forma rock uscendone con un lavoro maturo, fruibile e potente. Fin da Lische dei Madrigali Magri Giovanni scrive testi davvero degni di nota e maltratta e strizza la sua sei corde con notevole maestria: a questo giro con Quintale straccia completamente con la sua classe il resto del rock italico “alternativo”. Liriche sentite, viscerali e profonde, chitarra voluminosa, intrigante e batteria essenziale e pesante: il disco vi fa battere il piedino e viene voglia subito di air guitar e pure di accendere l’accendino nei due bei lenti finali. Il baco si è fatto farfalla: grossa, nera e con una chitarra e una boccetta d’inchiostro incise sulle ali.