L’ubriachezza, il quinto mondo, i nastri ed il mondo. Difficile aggiungere qualcosa ai concept ed all’esperienza Babau, che da quasi un decennio imperversa creando geografie e geometrie variabili di suono.
Più stregoni ed officianti che musicisti Matteo Pennesi e Luigi Monteanni sembrano aprire in questa occasione la scatola di Schrödinger.
Dentro un pout-pourri fra haunted sound e toy music dal mondo, in una sorta di fermentazione dove la tradizione cessa di essere legata al territorio ma è nuvola vischiosa che sorvola i continenti.
Potremmo chiamarla magia oppure sbronza da frutta fermentata, ma quel che ci avvolge è un turbinio di suoni, voci e colori che è inutile collocare.
Un’ora di durata, la compressione di un mondo intero in una wunderkammer sonora nella quale perdersi, rendendo alla musica il senso del mistero e della perdita che forse aveva in origine. Percussioni insistite che danno vita a poliritmie magiche stese sopra tappeti free.l’impressione è quella rimanere sulla soglia di un diversi sistema di percezione, codificato secondo una compressione di ere, stili, fonti e luoghi.
Una sorta di Hypermusic globale, con la quale accedere ai diversi strati, schemi e luoghi mondiali. Come se Dan Friel e John Hassel avessero travisto l’operato dei Fantômas. Misteriosi ordini monastici dalla voce tubolare ci guidano verso un’aura fastidiosa, dove nulla è più sotto al nostro controllo. C’è un elemento psicotropo beante in questo viaggio, in grado di sedarci e guardare le luci e uscirci dalle orecchie e forse a scriverne dovrebbero essere Hunter S. Thompson, Carlos Castaneda o chi guida il viaggio. Da par mio re di solo il resoconto dell’esperienza, fra Adrian Lyne ed i cartoni animati, nel quale particelle prendono vita e si imbizzarriscono come zuccherini magici. Siamo altri, siamo le popolazioni discoste, siamo il culto del cargo e siamo papalagi, siamo il gap di comprensione e comunicazione, siamo corpi che hanno perso l’abitudine a rimanere nel ritmo. Siamo uno stato alterato di coscienza e siamo un testo per il quale siamo noi a scegliere un senso, un significato ed un fine. Forse l’unica risposta corretta a questa musica è sudare con il sole negli occhi, non lo sapremo mai e non sapremo nemmeno sé questa musica sarà identica al prossimo ascolto.
Debbo dire di essermi rifiutato di leggere qualsiasi informazione su quest’opera una volta iniziato l’ascolto pur essendo stato io a far e richiesta. Ma l’umano è da sempre contraddittorio al contrario dell’umami che non è un collutorio. All The Gurls… è un lavoro che andrebbe somministrato a gocce nel calendario dell’avvento, io, per il poco che conta, mi prendo la responsabilità di quanto scritto, ondeggiando placidamente nel mare termico ed effervescente di Pangea. A questo disco cambierei solo la copertina, mettendoci i Throbbing Gristle sulla scogliera insieme ai Teletubbies, per il resto è tutto perfetto.